Libia, si alza la temperatura interna
In Libia, Alto Consiglio di Stato e Camera dei Rappresentanti sembrano convergere sull’iter per il processo elettorale, ma aumentano gli attriti con Dabaiba. Il punto di Daniele Ruvinetti
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La Libia si conferma in questi giorni uno dei più delicati dossier internazionali, anche perché al suo interno si muovono dinamiche che fanno da cartina di tornasole per differenti trend. Sono, infatti, varie le evoluzioni in corso che hanno fatto seguito alla riunione del Comitato 6+6 ospitata in Marocco a inizio giugno. In quell’incontro, i delegati della Camera dei Rappresentanti e quelli dell’Alto Consiglio di Stato hanno stretto un accordo per la legge elettorale (presidenziale e parlamentare) e convenuto che per le elezioni sia opportuno esprimere un esecutivo rinnovato: un governo che unisca Est e Ovest, che si occupi solo del voto – il momento potenzialmente decisivo per la stabilizzazione del Paese se tutte le anime accetteranno il passaggio alle urne.
Pochi giorni fa, il Consiglio ha approvato l’intero iter, che probabilmente entro poche settimane (forse già il 24 luglio) passerà anche alla Camera. Da qui in poi è previsto un meccanismo tecnico ma dall’alto significato politico che concerne le nomine per guidare il nuovo esecutivo, le quali saranno avanzate da 12 membri del Consiglio e 15 della Camera; entrambe le assise voteranno sui nomi, e chi prenderà più voti in totale diventerà primo ministro, uscendo dal processo di nomina già con la fiducia parlamentare e in grado di scegliere il suo gabinetto di governo.
L’avanzamento di questo percorso sta creando grande preoccupazione ad Abdelhamid Dabaiba: l’attuale premier, che non ha più la fiducia parlamentare ma rivendica la possibilità di governare secondo un precedente incarico (scaduto nei fatti) avuto dalle Nazioni Unite, teme di essere messo da parte. Anche perché quello che sta succedendo è che Khalid Almishri, presidente del Consiglio, e Aguila Saleh, omologo della Camera, stanno lavorando insieme sull’iniziativa comune per un nuovo esecutivo. Questa convergenza non è banale: i leader di Tripolitania e Cirenaica, da anni divise da combattimenti e incomprensioni, sembrano vivere una fase di allineamento. Ed è già di per sé un dato di valore intra-libico, che, tuttavia, potrebbe avere ricadute di carattere regionale.
L’allineamento sarebbe anche sul nome del nuovo governatore della Banca centrale — ruolo centrale per la gestione dei proventi libici connessi al petrolio. Esistono movimenti e contro-movimenti tra Misurata, Tripoli, Tobruk e Bengasi, perché in questo caso la nomina — che ricadrebbe su Faraj Boumtari, ex ministro delle Finanze del governo onusiano di Fayez Serraj — potrebbe trovare consenso anche da parte del leader di Bengasi, Khalifa Haftar. Boumtari è stato recentemente protagonista di un tour di contatti, ma è stato fermato all’aeroporto Mitiga di Tripoli dalla sicurezza collegata a Dabaiba. Sul suo conto ci sono accuse vaghe, tanto che la missione UNSMIL delle Nazioni Unite ha diffuso una dichiarazione che dice: “Questi atti [l’arresto, ndr] creano un clima di paura, promuovono tensioni tra comunità e tribù e hanno serie implicazioni per l'unificazione delle istituzioni nazionali. Inoltre, questa condotta non favorisce lo svolgimento di elezioni trasparenti e inclusive né la riconciliazione nazionale”.
La dichiarazione dell’ONU riguarda non solo l’arresto di Boumtari, ma anche il divieto di viaggio, arrivato sempre in questi giorni, a cinque membri del Consiglio diretti in Turchia. Dunque è chiaro come si stia alzando la temperatura interna. L’allineamento tra Mishri, Saleh e, in parte, Haftar preoccupa Dabaiba che si oppone alla formazione del nuovo governo, in quanto questa gli comporterebbe una sostanziale riduzione di potere. A ciò si sommano le mosse (haftariane) per chiudere i pozzi petroliferi come forma di pressione. Non è un caso, infatti, se Boumtari sia piuttosto vicino alle posizioni della Cirenaica, anche perché viene dalla zona della Mezzaluna petrolifera.
È in corso una fase di moderata destabilizzazione interna da parte di Dabaiba, contro il tentativo di accordo sostenuto da Consiglio e Camera. Tutto mentre sia gli Stati Uniti che la Turchia e l’Egitto, tre dei principali attori esterni attivi sulla Libia, sembrano interessati a incoraggiare questo processo di rinnovamento come tentativo diplomatico per promuovere la stabilità. E dunque, Dabaiba appare parzialmente isolato, sia sul piano interno che su quello esterno. Gli allineamenti che si stanno costruendo dimostrano come in questa fase le potenze, un tempo attivamente coinvolte in un conflitto per procura che rifletteva le tensioni reciproche, siano adesso orientate alla ricerca di soluzioni. Alcuni dei protagonisti interni, invece, restano interessati al proprio tornaconto più che alla stabilità. Come nel dossier libico, anche altrove è presente questa dinamica tra equilibri interni – e attriti conseguenti – e cambiamenti degli interessi degli attori esterni – più orientati alla ricerca della stabilità.