Approfondimenti

L'idea svizzera di neutralità

La Svizzera e il suo modello di sicurezza e difesa nazionale, tra neutralità internazionale, relazioni con i paesi europei e industria della difesa. L’analisi di Francesco Mattarella

La preferenza, parafrasando Tolstoj, dello stato di pace rispetto a quello di guerra, è divenuta, dopo la tragedia della Grande Guerra, convinzione sempre più acquisita dalla comunità internazionale.

Posto questo fine, non c’è forse unanimità nei mezzi per il suo ottenimento. Neville Chamberlain diceva “bisogna salvare la pace” ma, con grave e verificato difetto di lungimiranza, non pensò per quanto tempo. I Beatles cantavano “give peace a chance” ma senza indicare il modo.

Se vogliamo trovare un modo concreto per una pace duratura, ci avvaliamo dei brocardi latini. Per i nostri antenati romani “Si vis pacem para bellum”.

Gli stessi romani, maestri nell’arte della guerra, furono indotti a un periodo di pacifismo: la pax augustea.

A chi dovesse credere che la pace di Augusto sia stata voluta per motivi ideali, forse inimmaginabili in chi aveva combattuto due guerre civili prima contro i cesaricidi e poi contro Marco Antonio, ricordiamo che la scelta imbelle fu una necessità posta all’Impero dalla cocente sconfitta militare avvenuta contro i Germani nella Foresta di Teutoburgo.

L’anziano sovrano, al tempo stesso in cui rimproverava il proprio comandante in capo al grido di “Varo, rendimi le mie legioni”, ebbe modo di riflettere sulla via più utile a non perdere altre legioni negli anni a venire.

La reciproca deterrenza delle armi fu il motivo per il quale, al di là di qualche scorreria di confine, la pace tra Romani e Barbari ebbe vigenza fino alla crisi del III secolo.

Quando l’Impero Romano entra in crisi e non è più militarmente forte, l’Italia diventa terra di conquista dei Germani.

Facendo un excursus di qualche secolo, analizziamo la situazione di una nazione come la Svizzera, la quale esiste in forma embrionale dal 1291 e si trova, pur con qualche violazione da terzi operata, in stato di “pace perpetua” dal gennaio 1516.

Tale stato di non belligeranza fu, come per l’Imperatore Augusto, la conseguenza di una pesante sconfitta, subita dalla Confederazione alla battaglia di Marignano del 1515 da parte delle truppe di Francesco I di Francia.

Questo particolare è di non poco rilievo: la neutralità di questo Paese, fonte di stabilità politica e sociale come di prosperità economica nei secoli successivi, ebbe ciò nondimeno origine da una disfatta militare e dalla conseguente considerazione, peraltro anche per l’imposizione da parte del Re di Francia, dell’inopportunità dell’adozione di iniziative belliche offensive.

La stabilità territoriale sarà in seguito garantita nel 1648 dalla Pace di Vestfalia, conclusiva della Guerra dei Trent’Anni, con la quale il Sacro Romano Impero decretava de iure un’ormai secolare indipendenza de facto, e nel 1815 dal Congresso di Vienna nel quale le Potenze europee solennemente riconoscevano detta situazione di non belligeranza.

Fugato nel 1815 ogni dubbio circa lo status di Potenza neutrale, iniziò, sia in Svizzera che all’estero, il, mai sopito e più che mai attuale per gli accadimenti degli ultimi due anni, dibattito su cosa dovesse intendersi per neutrale e su come una nazione così definita dovesse atteggiarsi in politica estera.

Nel 1907 viene firmata la Convenzione dell’Aja” concernente i diritti e i doveri delle Potenze e delle persone neutrali in caso di guerra per terra”.

Il diritto fondamentale è espresso all’art.1 posto il quale “il territorio delle Potenze neutrali è inviolabile”.

Siffatte belle parole saranno violate pochi anni dopo quando nel 1914 l’Impero tedesco, il cui Kaiser era stato tra i firmatari della Convenzione, ritenne di infrangere la neutralità del Belgio aggredendo il suo territorio al fine di entrare per esso in Francia attraverso l’unica parte, del confine orientale di quest’ultima, che, essendo condivisa con uno Stato neutrale, non era difesa dalla Linea Maginot.

Sono gli episodi come questo che palesano la necessità che la prescrizione ex lege della suindicata inviolabilità vengano rese concretamente operative tramite una forza militare che, allo stesso modo di come un antifurto può fungere da disincentivo per chi voglia trasgredire il diritto penale interno aggredendo una proprietà privata, funga da deterrente per chi intenda violare il diritto internazionale.

Le Forze Armate tedesche sapevano di compiere un crimine di guerra allo stesso modo di come un ladro sa di compiere un reato quando ruba in un appartamento. Tuttavia, al Belgio mancava l’antifurto: un’efficace difesa dai Panzer dell’Imperatore Guglielmo.

Tale esigenza sembra contrastare con l’obbligo di imparzialità, tra le Parti belligeranti, che lo Stato neutrale deve mantenere in cambio dell’integrità dei propri confini.

Ciò nondimeno, era già comunque emersa l’inesistenza di un‘equazione tra l’idea di neutralità e un’assoluta indifferenza agli eventi geopolitici esterni.

Un interesse a tali eventi conduce inevitabilmente a una collaborazione, sotto il profilo diplomatico ma anche sotto quello militare, con altri Paesi. E la selezione dei soggetti, con i quali collaborare, viene opportunamente diretta, posta l’individuazione delle nazioni maggiormente e palesemente più inclini all’offesa all’ordine costituito, verso le nazioni le quali rispettano l’ordine medesimo e si avvalgono dei propri mezzi per il contrasto a ogni ipotesi di aggressione.

Simile modus operandi già appariva necessario alla fine della Seconda Guerra Mondiale

La Svizzera, nazione neutrale ma pur sempre inserita nella geografia dell’Europa occidentale e ad economia capitalista, stringeva accordi con la Nato o con i membri di questa, poiché individuava, con dimostrata lungimiranza per chi scrive nel 2024, i possibili aggressori nell’Unione Sovietica e nei Paesi del Patto di Varsavia. E quanto valeva alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e che sembrava non valere più dopo la fine del blocco comunista nonostante i sottovalutati focolai provenienti dai Balcani, vale ancor di più dal 2008 con l’altrettanto sottovalutata annessione russa della Crimea e più ancora dal 24 febbraio 2022.

Per questo la Confederazione ha utilizzato i quarant’anni della Guerra Fredda per la preparazione ad eventuali conflitti per tali intendendo non soltanto le guerre da combattere con armi convenzionali, ma anche quelle con uso dell’arma atomica.

Sembra incredibile ma è documentato che già negli anni ’30, ovvero ben prima degli esperimenti di Los Alamos negli USA, le autorità di uno Stato neutrale incaricassero i propri scienziati di studiare le possibili implicazioni dell’energia nucleare anche in campo militare.

Le ricerche condotte in quegli anni da Paul Scherrer del Politecnico di Zurigo, unitamente a Paul Huber e Werner Kuhn dell’Università di Basilea, vanno considerate nel novero dei motivi per i quali nessuna Potenza straniera, non per remore di ordine etico ma per pratico timore delle possibili conseguenze, ha mai ritenuto di violare il suolo della Confederazione.

Pertanto, il concetto di neutralità è stato correttamente interpretato nell’impegno a non dichiarare guerra ad altri Stati ma non a non attaccare ove attaccati (breve digressione: anche l’art.11 della Costituzione di uno Stato non neutrale quale l’Italia prevede il ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli” ma non come forma di difesa ove da altre parti si offenda la libertà del popolo italiano).

Questa politica di prevenzione ha consentito alla Svizzera di trovarsi, all’inizio della Prima guerra mondiale, ben organizzata militarmente tanto che, tra le due guerre mondiali, si iniziò a utilizzare in merito l’espressione “neutralità armata”.

Nelle convulse settimane di luglio del 1914, il Consiglio Federale ribadisce la neutralità del Paese ma il successivo 1° agosto decreta la mobilitazione generale.

La presenza di un forte apparato bellico consentirà poi, in un’Europa quasi per intero occupata dalla Wermacht, il mantenimento della propria sovranità nel periodo compreso tra l’Anschluss dell’Austria del 1938 e la fine del secondo conflitto mondiale nel 1945.

Nel marzo del 1939, sei mesi prima dell’inizio del conflitto, i riservisti vengono inviati a guardia del confine con la Germania e si costituiscono ridotti nazionali sulle Alpi per fronteggiare un’eventuale invasione tedesca.

Il successivo 29 agosto, tre giorni prima dell’invasione della Polonia, si decide la mobilitazione delle brigate di frontiera e della difesa contraerea. Il 30 agosto si decreta la mobilitazione generale. Il 4 settembre la Confederazione schiera le divisioni di copertura al confine francese nel timore che gli Alleati intendano compiere operazioni sul suo territorio.

L’ufficiale Henry Guisan viene nominato Comandante in capo dell’Esercito svizzero con il grado di Generale, grado che le leggi della Confederazione prevedono solo in tempo di guerra (si noti bene: tempo di guerra! Anche se il Paese è neutrale)

Al tempo stesso, la Svizzera intesse relazioni con gli Alleati per l’adozione di una strategia difensiva contro un eventuale attacco tedesco.

Il Generale Guisan e il Capo di Stato Maggiore Jacob Huber fanno predisporre un piano di collaborazione con le Forze Armate Francesi. Di tale piano è prova il suo rinvenimento a Digione da parte dei Tedeschi.

Il 10 maggio 1940 la Germania invade la Francia tramite i Paesi del Benelux e pertanto la Svizzera, nel timore che questa manovra antifrancese da Nord venga seguita da un’altra a Sud sul suo territorio, decide una seconda mobilitazione generale. Il 23 giugno 1940 Hitler pianifica l’attacco alla Svizzera, Operazione Tannenbaum, dal quale in seguito desisterà.

La minaccia nazista appare ancor maggiore quando i Tedeschi, a fronte delle sconfitte su altri fronti (El Alamein 1942, Stalingrado tra il 1942 e il 1943, Operazione Husky in Italia Meridionale 1943), progettano una linea di difesa di una piazzaforte in Europa della quale la Svizzera sarebbe stata il nucleo centrale.

Da qui scaturisce il pur se erroneo ’“Allarme di marzo” del 1943 che avverte di una possibile invasione.

L’iniziativa svizzera, parallelamente all’ambito militare, si svolge anche in quello commerciale nel quadro di un’economia di guerra con conseguente razionamento di derrate che durerà fino al 1948.

La Confederazione svolge attività di commercio che, con deviazioni veniali dal dovere di imparzialità imposto dalle Convenzioni dell’Aja, vengono condotte con ambo le parti confliggenti.

Tra il 1939 e il 1944 la Svizzera aumenta il commercio con la Germania di macchinari, prodotti in acciaio, veicoli e prodotti chimici.

Il commercio con gli Alleati è, durante la guerra, un terzo di quello con la Germania ma aumenta a partire dal 1944 per l’avvicinamento dei medesimi al confine elvetico.

Già durante il conflitto si individua quale nazione sarebbe stata il potenziale nemico del dopoguerra: l’Unione Sovietica. Da quest’ultima, nel giugno del 1941 la Svizzera unilateralmente recede da un accordo commerciale stipulato solo quattro mesi prima.

Al termine della guerra, proseguono le attività di ricerca in materia nucleare.

Il 5 novembre 1945 il Dipartimento militare federale istituisce all’uopo una commissione di studio la cui presidenza fu affidata al summenzionato Professor Scherrer.

Al tempo stesso, l’organizzazione militare è capillare al punto che comunemente si dice che “la Svizzera non ha un esercito, è un esercito” con ciò volendosi intendere l’importanza che viene data al dovere di ciascun cittadino di contribuire alla difesa della Patria.

Il servizio militare, quasi abolito nel resto d’Europa, qui è obbligatorio. Tra il 1968 e il 1996, 12.000 uomini vengono condannati per renitenza alla leva. I militari in servizio attivo sono, dagli ultimi dati disponibili, 101.584 su una popolazione di circa 8,96 milioni di abitanti. Il servizio civile, considerato dalla mentalità suesposta una minaccia all’essenza della Patria, verrà ammesso solo nel 1992.

Tra il 1953 e il 1955 la divisione tecnica di guerra compra, intermediari Belgio e Gran Bretagna, 10 tonnellate di uranio metallico a fini bellici.

Di queste 10 tonnellate, 5 vengono consegnate alla Reaktor AG, società fondata nel 1955 al fine di implementazione dell’energia nucleare, per alimentare il reattore Diorit, costruito nel 1960, ad uranio e acqua pesante con l’ausilio di ulteriore uranio e scorie radioattive acquistati dal Canada nel 1958.

Le altre 5 tonnellate vengono collocate quale riserva strategica in una galleria militare scavata nelle Alpi.

Nel 1955 la Svizzera acquista dagli Stati Uniti un reattore sperimentale a piscine Saphir e prende in prestito, sempre dagli Stati Uniti, 6 kg di uranio altamente arricchito. Siffatte attività portano alla situazione che adesso si espone.

Secondo le classifiche del Global Firepower, ente specialistico in materia bellica, la Svizzera, posta per superficie con soli 41.277 Kmq al 126° posto tra gli Stati della Terra, si trova al 43° posto per potenza di fuoco del proprio arsenale (livello di perfezione: 0; valore della Confederazione: 0,6097).

L’esercito dispone di 4.304 veicoli corazzati da combattimento e 133 mezzi di artiglieria semovente.

L’aeronautica dispone di 147 Aeromobili, 43 aerei da combattimento caccia/intercettori, 16 aerei da trasporto ad ala fissa, 44 aeromobili da addestramento, 3 aeromobili per missioni speciali, 41 elicotteri.

La flotta della marina militare, esistente dal 9 aprile 1941, è la più forte tra i Paesi senza sbocco al mare.

Sembra una contraddizione che uno Stato neutrale, e financo senza sbocco al mare, vanti imponenti navi armate che viaggiano nei mari di tutto il mondo. Ma questo può accadere ove questo Stato, pur se modesto per dimensioni, preveda, nel bilancio 2023, un budget per la difesa di 9 miliardi e 300 milioni di dollari cui si aggiungono le spese militari approvate, per il periodo 2025 2028, in 25,8 miliardi di franchi, oltre all’assunzione di crediti d’impegno per 886 milioni di franchi.

La Confederazione investe anche sulla formazione del personale militare. Il DDPS, Ministero della Difesa, offre da anni corsi formativi volti soprattutto all’addestramento in montagna. La conoscenza del territorio su cui si combatte è importantissima e anche in questo la Storia è magistra: vedasi la guerra in Vietnam dove gli USA più forti e numerosi, soccombettero di fronte ai vietcong che conoscevano la giungla e sapevano come ivi vivere e combattere.

Si aggiungerà a questi corsi la creazione, annunciata dal Ministero della Difesa nel luglio di quest’anno, di un centro di formazione dell’esercito svizzero certificato dalla NATO.

Questo può accadere se, esaminando la politica estera del Paese, si verifica dopo il 2000 un aumento dell’interesse verso gli avvenimenti geopolitici esterni nonché una diminuzione del tradizionale isolazionismo sotto l’aspetto bancario e fiscale come sotto quello commerciale.

La collaborazione con la Nato e i paesi di essa membri si è accentuata a partire dal febbraio 2022.

Le ragioni sono intuibili con le sole parole di Markus Mader, Segretario di Stato alla politica di sicurezza, per il quale la Svizzera deve prepararsi alla guerra.

“Bisogna prepararsi al mondo che c’è non a quello che vorremmo avere”, ammonisce il Ministro con un eloquente messaggio verso i c.d. pacifisti, anche perché “il nuovo ordine non si basa più sulle regole. Bisogna lavorare per il rispetto del diritto internazionale”.

Mi soffermerei sui due suesposti concetti: regole e rispetto del diritto internazionale.

Necessita in merito domandarsi se sia sufficiente a uno Stato dichiararsi ed essere riconosciuto neutrale (regola) perché detta neutralità venga rispettata e lo Stato non sia aggredito? (rispetto del diritto internazionale).

Qualche precedente storico sembra suggerire il contrario: il menzionato caso del Belgio nella Prima guerra mondiale, la Città del Vaticano nella Seconda all’interno di Roma occupata con un documentato progetto di Hitler per il rapimento di Papa Pio XII, la stessa Svizzera invasa da Napoleone.

Il rispetto del diritto internazionale si ottiene con la forza, con la polizia internazionale o quanto meno europea, allo stesso modo di come le forze di Polizia fanno rispettare le leggi tra le persone.

E allora non ha molta utilità chiedere per favore a Vladimir Putin o agli ayatollah dell’Iran di ritirare le loro forze da territori in conflitto.

È per questo che, pur nel rispetto della popolazione di Gaza, lo Stato di Israele ha il diritto di difendersi.

Non bisogna peraltro dimenticare il risentimento di tanti popoli asiatici e africani verso gli europei per il passato coloniale. Ma tale passato si può far perdonare unicamente con la cooperazione e non mostrando debolezza di fronte alla Russia o a potenze emergenti o già emerse dell’Oriente.

E per condurre la cooperazione serve un deterrente militare che ponga nella situazione di non dover temere ritorsioni ove le relazioni con qualche interlocutore dovessero degenerare.

In questa logica preventiva, va tenuto a mente quanto dichiarato lo scorso 3 febbraio dal Generale Thomas Sussli, capo dell’Esercito Svizzero, secondo il quale “in caso di conflitto” la Confederazione non potrebbe resistere per più di due settimane” e che occorrono artiglieria blindata e carri armati (in other words: non belle parole da concerto di Woodstock).

Il virgolettato a proposito di “in caso di conflitto” non è casuale poiché la statuizione di norme non può fondarsi sul rispetto implicito. La ractio existendi della sanzione giuridica, come insegna la Filosofia del Diritto, sta in questo. Hans Kelsen, nella sua dottrina pura del diritto, ben distingue la norma prescrittiva, definente il comportamento illecito, dalla norma sanzionatoria, definente le conseguenze poste a carico dell’autore dell’illecito medesimo. E la norma sanzionatoria non è efficace senza l’esposizione, con il loro valore deterrente, delle sanzioni poste a carico del potenziale trasgressore per la sua condotta

Nell’ambito del diritto internazionale, il valore deterrente della prevenzione è costituito da un efficace apparato militare. In altre parole, il diritto internazionale dispone con la Convenzione dell’Aja la neutralità della Svizzera, ma, ut supra dixit il Ministro Mader sulla differenza tra diritto e fatto. Questo non vuol dire che tale normativa venga rispettata.

Si tratta di qualcosa di analogo a quanto accade nel diritto interno in cui il Codice Penale vieta di rubare ma ciò non significa che tale divieto venga rispettato. Per farlo rispettare occorrono le Forze di Polizia con la loro efficacia dissuasiva e tante armi.

E più queste armi sono efficaci, più difficile è sconfiggerle violando l’ordine ex lege costituito. Sorge spontaneo il paragone tra la Svizzera e altri Paesi del mondo che, disponendo di armi ma non sviluppate al punto da sviluppare deterrenza, le utilizzano con frequenza allarmante.

Per tale ragione l’Aggruppamento di Difesa dell’Esercito Svizzero, organo costituito al dichiarato scopo di contribuire “alla prevenzione della guerra e quindi alla pace in Svizzera”, ha comunicato, nel dicembre 2023, un ulteriore sviluppo dell’Esercito nei prossimi quindici anni per far fronte alla “situazione di minaccia attuale e prevedibile”.

Sono state altresì preannunciate, per il 2025, esercitazioni militari congiunte nella località austriaca di Allentsteig, le TRIAS 25, con l’Austria, altro Paese neutrale per Costituzione, e con la Germania, Paese che dopo la Seconda Guerra Mondiale aveva optato per una politica estera contraria a qualsiasi intervento in territorio straniero.

Si segnalano inoltre gli accordi conclusi con la Nato, il Partnership for Peace del 1996 e l’Individually Tailored Partnership Programme (ITPP) del 2023.

In politica interna, le Forze armate e di polizia proteggono altresì la comunità ebraica che, nonostante l’esigua superficie dello Stato, è la decima per consistenza in Europa.

Per quanto attiene alla cooperazione economica, la Svizzera ha aderito a tutti i quattordici pacchetti di sanzioni alla Russia adottati dall’Unione Europea dall’inizio della guerra in Ucraina.

E verso l’Ucraina, tramite altri Stati non neutrali, la Confederazione esporta armi e munizioni.

La stessa attività commerciale è svolta verso lo Yemen al fine del contrasto ai guerrieri Houthi.

La Svizzera, per mezzo della Segreteria dell’Economia (SECO), esporta armi per un totale di 696,8 milioni di franchi

Si esportano principalmente munizioni, tra cui quelle specifiche per i sistemi di difesa antiaerea, mezzi blindati e aerei (questi ultimi principalmente verso gli Stati Uniti).

Il modello offerto dalla Confederazione sia di esempio per tutta l’Europa affinché le istituzioni di nazioni libere possano, con una difesa militare comune, rendere il nostro continente, peraltro sempre più debole sotto il profilo demografico e pertanto con una sempre minore quantità di potenziali combattenti rispetto ad altre aree del mondo, una grande e forte Svizzera.

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