L’importanza del Museo del Bardo di Tunisi per la storia del Maghreb
La rilevanza del museo del Bardo di Tunisi tra le istituzioni museali del Nord Africa e alcuni rapporti di collaborazione tra l’Italia e la Tunisia a livello culturale. Il punto di vista di Alessandro Giuli
A quattro mesi dalla sospensione dell’assemblea parlamentare stabilita da Kaïs Saïed – potenziale prologo d’una torsione dal “regime presidenzialista” al “presidenzialismo di regime” di cui si è qui recentemente scritto – la situazione politica tunisina si riverbera anche su uno dei luoghi-simbolo della cultura mediterranea. È il caso del Museo nazionale del Bardo di Tunisi, epicentro e ricetto per manufatti antichi d’inestimabile valore, chiuso dal 25 luglio poiché i suoi locali fanno parte del complesso in cui risiede il Parlamento. L’intero perimetro è sotto costante sorveglianza e l’ingresso è interdetto sia al pubblico sia ai ricercatori e al personale tecnico. Una condizione che mortifica anche l’ordinaria manutenzione di alcuni locali solitamente soggetti a infiltrazioni stagionali e che ha comportato la sospensione delle verifiche periodiche sulla stabilità del tetto e sulla funzionalità del sistema elettrico (la memoria corre al 1980, quando un incendio devastante ridusse fra l’altro in cenere alcuni manufatti non ancora inventariati). Per comprendere il rischio potenziale che incombe sul Bardo, un’istituzione nata nel 1888 nella dimora dei Bey indigeni e considerata un patrimonio dell’umanità, basti pensare alla sua collezione di mosaici unica al mondo e alle statue in bronzo del cosiddetto “relitto di Mahdia”, la cui conservazione necessita di condizioni microclimatiche speciali. Archeologi e restauratori hanno lanciato un allarme corale sul pericolo di un “disastro” dalla risonanza mondiale che potrebbe abbattersi sulla storia della Tunisia, tale da giustificare la stesura di un “Libro nero del Bardo”.
Già duramente colpito dal tragico e spettacolare attacco terroristico del marzo 2015, il Bardo ha peraltro condiviso negli ultimi anni le medesime criticità sofferte dalla società civile tunisina: dai moti rivoluzionari del 2011, in larga parte concentrati nella grande piazza antistante il museo, fino alla crisi economica e alla pandemia di Covid-19, che ha inesorabilmente compresso la catena del valore turistico-culturale tunisina. Già nel 2017 era stato censito un desolante calo dei visitatori: 87 mila a fronte dei 500 mila del decennio precedente. Una sorte paragonabile, sia pure in scala minore, a quella del Museo nazionale di Cartagine situato sulla collina di Byrsa, attualmente in fase di ristrutturazione grazie ai finanziamenti dell’Unione europea con il concorso di Expertise France, l’agenzia internazionale di cooperazione tecnica controllata dall’Eliseo. Il che ci consente d’illuminare l’importanza della diplomazia culturale nelle relazioni internazionali fra i Paesi del Mediterraneo, un aspetto fondamentale nel configurare reciproche sfere d’influenza che affratellano popoli distanti ma affini.
Su questo piano, l’Italia ha dato storicamente prove di altissimo livello nel Maghreb e in modo particolare in Tunisia, lì dove la nostra diplomazia culturale si è recentemente innestata nella rifiorita valorizzazione dei beni storico-culturali nazionali originata dalla “rivoluzione dei gelsomini” – un esempio fra gli altri è il decreto legislativo del 10 marzo 2011 finalizzato al controllo delle proprietà private e delle costruzioni abusive contigue all’area archeologica del Parco Archeologico Nazionale di Cartagine-Sîdî Bou Saïd, mediante una commissione apposita incaricata di tutelare il valore archeologico, storico e architettonico dell’area in questione. Nel quadro generale del progetto “ArcheoMedSites” finanziato dall’Unione europea nel 2012 si è inserito il programma di scavi e ricerche dell’Istituto di Studi sul Mediterraneo Antico e del Consiglio Nazionale delle Ricerche nel santuario tofet di Baal Hammon-Saturno situato a El Medeina (l’antica Althiburos). Rimarchevole, inoltre, tra il 2013 e il 2019, è stato il contributo finanziario della Cooperazione Italiana con la collaborazione del Comune di Tunisi per trasformare l’ex convento della Sainte Croix nell’attuale Centro Mediterraneo di Arti Applicate. Da segnalare, infine, ma non certo per ultima quanto a ordine d’importanza, la nascita nel 2016 a Sassari della Scuola Archeologica Italiana di Cartagine (SAIC) con sede a Tunisi presso l’Istituto Italiano di Cultura che fa capo alla Farnesina. Si tratta di una società che contempla fra i propri soci il Dipartimento di Storia, Scienze dell’uomo e della formazione dell’Università degli Studi di Sassari, l’Istituto di Studi sul Mediterraneo Antico-CNR di Roma, il Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell’Università degli Studi di Cagliari e l’Agence de mise en valeur du patrimoine et de promotion culturelle della Tunisia. E stiamo citando soltanto alcuni fra gli esperimenti di nitido successo, nella prospettiva di un dialogo interculturale con il Maghreb che la chiusura del Museo del Bardo non può e non deve mettere in discussione neppure sul piano simbolico.