L’incontro a Riad tra Stati Uniti e Russia e il nuovo paradigma del sistema internazionale
Quali sviluppi internazionali potrebbe produrre il vertice tra Russia e Stati Uniti svoltosi a Riad nei giorni scorsi? Il punto di vista di Giorgio Cella
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Washington e Mosca si sono incontrate nel loro primo summit per avviare una roadmap che possa condurre a una ricomposizione della crisi in Ucraina. L’incontro atto a iniziare un cammino per far tacere le armi di un conflitto su suolo europeo è occorso a Riyadh, nella capitale del Regno Saudita, nella patria dei luoghi sacri dell’Islam di Mecca e Medina. Questo primo elemento eminentemente geografico risulta, come primo dato d’analisi, assai significativo per comprendere il mutamento sostanziale in corso degli equilibri del sistema internazionale, sia sul piano geopolitico, sia su quello diplomatico. A ben vedere, oltre il suo accresciuto ruolo di attore capace di mantenere un rapporto primario con gli Stati Uniti e l’Occidente da un lato, e con Russia, Cina e BRICS dall’altro, il regno saudita ha avuto altresì un ruolo di mediatore diplomatico tra russi e ucraini nel corso dei tre anni di conflitto, anche nel campo dello scambio di prigionieri.
Al netto di questa prima riflessione sul dato geografico, sul cambiamento delle capitali diplomatiche e sulla influenza mediatrice del regno di Muhammad Bin Salman negli affari internazionali, conviene spostare ora l’attenzione sul vertice diplomatico di alto livello tenutosi nella capitale saudita.
Tale incontro bilaterale russo-statunitense che ha visto delegazioni del più alto livello incontrarsi a Ryihad, è stato a suo modo storico e allo stesso tempo controverso, per le reazioni che tale riavvicinamento ha provocato tra le cancellerie europee. La priorità dei colloqui verteva su una possibile soluzione del conflitto in Ucraina e soprattutto su un cessate il fuoco come prima meta primaria da raggiungere il prima possibile, ma l’incontro e le nuove relazioni Washington - Mosca fortemente volute da Trump, sono andate ben aldilà della mera questione ucraina, coprendo anche altri dossier degli affari internazionali, come la situazione in Medioriente e i legami commerciali. Per quest’ultima voce, si segnala la presenza nella delegazione russa di Kirill Dmitriev, capo del fondo sovrano russo. Dmitriev ha fatto sapere “di voler ripristinare la comunicazione, il successo e la fiducia tra le parti”, con il chiaro obbiettivo di porre termine al regime sanzionatorio imposto a Mosca, oltre a quello più generale di liberare le potenzialità di interscambio economico tra le due nazioni. Egli ha infatti dichiarato che presenterà alla delegazione degli Stati Uniti una stima che indica come le imprese americane abbiano perso più di $300 miliardi all’indomani della decisione del 2022 di abbandonare il suolo russo.
Il significato ultimo tuttavia di questo primo importante incontro - che ha lo scopo propedeutico di costruire il successivo summit tra Trump e Putin - è il meccanismo che si è qui avviato di ripristino delle relazioni bilaterali, prendendo spunto dalla comune volontà di porre fine alla guerra in Ucraina e per giungere a una piena normalizzazione dei rapporti russo-statunitensi. L'incontro tra alti funzionari ha rappresentato anche sul piano simbolico, oltre che a quella molto rilevante dei contenuti, un segnale di distensione e di inversione di marcia rispetto agli ultimi tre anni segnati da una pericolosa e continuata tensione conflittuale suggellata dal tintinnio delle armi nucleari sullo sfondo.
Di altrettanto chiaro significato sul nuovo radicale mutamento in corso, sono le dichiarazioni rilasciate dagli esponenti delle rispettive diplomazie, che vale senz’altro la pena riportare. Dopo oltre quattro ore di colloqui, il nuovo segretario di Stato Marco Rubio ha dichiarato che “entrambe le parti si sono trovate concordi nel lavorare per un accordo di pace per la situazione ucraina, e per esplorare le incredibili opportunità esistenti per collaborare con i russi” sul piano sia di orientamento comune negli affari internazionali, sia sul piano economico.
“Ho motivo di credere che la parte americana abbia iniziato a comprendere meglio le nostre posizioni”, queste invece le parole del ministro degli esteri russo Sergey Lavrov, in una malcelata contentezza per una inversione a U di Washington verso Mosca. Un successo per la diplomazia russa, che difficilmente avrebbe potuto sperare in una tale evoluzione delle relazioni con gli Stati Uniti.
L'incontro, primo di una serie di altri incontri tra le due parti, trancia le radici in modo evidente con le passate amministrazioni americane e con tutti gli immensi sforzi profusi dall’Occidente per isolare e colpire la Russia per avere attaccato l’Ucraina. Ciò, automaticamente, in una palese forma di Realpolitik, ha implicato una indifferenza sulle violazioni del diritto internazionale, sul concetto della difesa della sovranità e dell’integrità territoriale su cui gli stessi Stati Uniti e l’Unione Europea avevano così fortemente tenuto come priorità valoriale e che avevano strenuamente difeso lungo i passati decenni, non solo in Ucraina. Nei commenti finali degli esponenti della diplomazia a stelle e strisce coi media, non sono infatti stati toccati tali delicati punti, si è bensì preferito sottolineare le capacità di Trump di saper parlare con i russi e di poter portare a uno stop alla carneficina sul campo di battaglia ucraino.
Tutto quanto sinora ricostruito e analizzato, ci induce a quattro riflessioni conclusive di fondo che converrà tenere a mente (salvo imprevedibili eventi che cambino lo stato delle cose attuali) quantomeno per tutti i quattro anni di amministrazione Trump II:
- l’intesa con Vladimir Putin da parte del nuovo presidente statunitense, risulta evidentemente prioritaria rispetto alle preoccupazioni di sicurezza degli (ex?) alleati europei e della volontà di mettere pressione alla Russia e spingerla fuori dal contesto geopolitico occidentale
- risulta chiara la volontà politica della nuova amministrazione di mettere in secondo piano, sul piano dello status di potenza, sia l’Unione Europea (privilegiando rapporti bilaterali con i singoli Paesi membri, un approccio da sempre preferito anche dal Cremlino), sia l’Ucraina di Zelensky, entrambi difatti non presenti in questo preliminare incontro diplomatico nella capitale saudita (ma che potrebbe rientrare al tavolo delle trattative in prossimi incontri diplomatici)
- Trump persegue l’obbiettivo strategico opposto rispetto a quello sinora seguito da Bruxelles e dalla passata amministrazione Biden: il nuovo presidente statunitense vuole recuperare la Russia alla comunità occidentale e a un tempo slegare gradualmente Mosca da una progressivamente più solida partnership con la Cina (che a ben vedere, tramite una analisi meno superficiale, che verrà sviscerata in futuro su queste pagine, non risulta tuttavia a oggi così assoluta e granitica come talune interpretazioni e punti di vista preconfezionati vorrebbero indicare)
- la tensione nei rapporti euro-atlantici potrebbe divenire un tratto inedito (e protratto) del nuovo corso dei rapporti internazionali, indebolendo se non erodendo le attuali strutture euroatlantiche multilaterali (Unione Europea e Alleanza Atlantica, oltre agli altri principali organismi globali multilaterali, dal WTO all’OMS all’UNESCO et cetera) e portando, come reazione, a una (per ora poco plausibile) nuova unitaria dimensione politico-militare europea.