L’India a metà tra Washington e la ricerca dell’autonomia strategica
Pur non trattandosi di un partenariato esclusivo, crescono la fiducia reciproca e la cooperazione tra i due paesi. L’analisi di Emanuele Rossi
È opinione comune tra gli analisti in mezzo mondo che una delle ragioni per cui Narendra Modi abbia deciso di organizzare il summit della Shanghai Cooperation Organization in formato virtuale fosse legata al non creare potenziali elementi critici con gli Stati Uniti. Il premier indiano è stato ricevuto poche settimane fa in una non comune visita di stato alla Casa Bianca, e ospitare a così stretto giro i leader cinesi e russi poteva sembrare sconveniente. In sostanza, poteva innervosire l’amministrazione Biden: dimostrare al mondo che l’India è una potenza che non si ritiene partner alleata ed esclusiva di nessuno avrebbe attirato sul democratico americano le critiche di chi contesta l’eccessiva apertura all’indiano, reo di una contrazione dei parametri di misura della salute della democrazia di Nuova Delhi.
È nell’interesse dello stesso Modi muoversi in equilibrio, rispettando la tradizione di “non allineamento”, ma senza tendere troppo la corda. Parlare con tutti senza indispettire nessuno, e in questo momento tra i grandi attori globali i primi da non indispettire sono proprio gli Stati Uniti. Basta una rapida carrellata di ciò che c’è attorno all’India per comprenderne le ragioni. Con la Russia il rapporto procede da una posizione di relativa superiorità. L’India è un cliente d’oro di materia prima energetica che ha confermato, anzi ampliato, le sue commesse nonostante la sciagurata invasione dell’Ucraina. Certo, un parziale ribilanciamento verso la Russia lo crea la dipendenza del settore difesa, a causa dei tanti armamenti di fabbricazione russa (ancor prima sovietica) acquistati dagli indiani nel corso degli anni. Su questo si muove già la proiezione strategica indiana: da un lato il programma Make in India, orientato a spingere la produzione interna (anche del settore degli armamenti, notoriamente tra i più tecnologizzati del comparto industriale di un paese); dall’altro sono proprio gli Stai Uniti a rappresentare l’opportunità di diversificazione presente e futura del comparto (anche attraverso forniture di apparecchiature militari che ad altri alleati e partner non vengono sempre concesse). Non a caso, la visita di Modi ha fatto da cornice all’Ecosistema di Accelerazione della Difesa India-USA (INDUS-X), un progetto che darà impulso alla cooperazione industriale nel settore della difesa, porterà nuove innovazioni nella tecnologia e nella produzione, creerà posti di lavoro per le famiglie di lavoratori di entrambi i paesi e “promuoverà la pace, la sicurezza e la prosperità globali”, secondo le dichiarazioni del Pentagono. Vale la pena, a tal proposito, ricordare che l’India sta riflettendo su potenziali spazi di cooperazione simili anche con altri partner (come l’Italia).
Se quello finora descritto è il quadro dei rapporti con la Russia, con gli occhi orientati a Washington, per l’India c’è da trattare anche la relazione con la Cina. Con Pechino le cose non vanno bene: i due giganti vivono una fase di competizione economica e demografica globale che affonda le sue radici in un ambiente geo-strategico comune, l’Asia — con tutte le sovrapposizioni che questo comporta, in primo luogo per quanto concernono le linee di frizione dirette lungo i confini, da anni oggetto di contesa (dossier su cui già nella guerra del 1962 gli indiani ricevettero l’appoggio statunitense). L’India è un gigante che progetta uno standing indipendente, ma sulla partita globale in corso, che vede parte delle dinamiche snodarsi attorno alla competizione sino-americana, Nuova Delhi non ha una posizione completamente terza. Il contenimento cinese è un interesse nazionale per l’India. E anche su questo si poggia parte dell’attuale fase positiva dei rapporti con gli Stati Uniti.
La visita a Washington è stata anticipata da due eventi interessanti che marcano in qualche modo la profondità delle relazioni indo-americane. Modi ha incontrato a New York una serie di imprenditori americani di primissimo piano, tra cui il super miliardario pioniere delle nuove tecnologie Elon Musk (che ha promesso investimenti di Tesla in India) e alcuni CEO di origine indiana di importanti major americane. Sempre a New York, Modi ha partecipato a una lezione di yoga dal valore globale. I due appuntamenti indicano come l’India sia parte del futuro del mondo, restando ben salda attraverso tradizioni che segnano la sua esistenza culturale, ormai diventate anche vettore di soft power. La lezione a Central Park è stata definita il punto massimo della Yoga Diplomacy: “Usiamo il potere dello yoga non solo per essere in salute, felici, ma anche per essere gentili con noi stessi e gli altri”, è stato il commento di Modi, un’utile rappresentazione — tramite un tema apparentemente laterale — dell’impegno globale indiano.
Sicurezza, tecnologia, commercio, cooperazione i e scambi culturali — certamente facilitati anche dalla diffusione della lingua inglese in India — sono stati gli elementi sul tavolo dell’incontro di Modi alla Casa Bianca. Il riconoscimento dell’onore della visita di stato ha segnato un fatto: i due paesi devono ancora affrontare delle sfide, dagli ostacoli burocratici alle tensioni commerciali, ma questi punti di frizione sono ormai di carattere quasi esclusivamente tecnico, e non impediscono l’approfondimento (in un tempo relativamente breve) delle relazioni bilaterali.
È dall’inizio dei Duemila che le relazioni tra Stati Uniti e India sono in una fase di rinascita, grazie alla convergenza di interessi, prima sulla minaccia del terrorismo internazionale e poi sul crescente potere della Cina. Da allora la partnership bilaterale si è rapidamente intensificata. L’attivismo del Partito/Stato di Pechino nel Mar Cinese Meridionale, nello Stretto di Taiwan e lungo lo smisurato confine indo-cinese hanno evidenziato per l’India e per gli USA, in questo ultimo decennio, l’urgenza di cooperare per contrastare una minaccia comune. Non è un caso se nel 2018 gli americani hanno deciso di rinominare il Pacific Command in Indo Pacific Command, inserendo cioè l’Oceano Indiano — l’ambito di proiezione geopolitica di Nuova Delhi — all’interno dell’Area of Responsibility del più importante comando strategico del Pentagono. L’approfondimento delle partnership commerciali e la crescita della comunità indiano-americana hanno, inoltre, contribuito ad aumentare la fiducia tra Washington e Nuova Delhi.
Negli ultimi anni, gli Stati Uniti e l’India hanno intensificato la vendita di armi, la condivisione di informazioni e la cooperazione militare. Anche la tecnologia, l’energia pulita e l’istruzione superiore sono diventati spazi di cooperazione in rapida crescita. E l’ambito di questa cooperazione si è ampliato, dall’Oceano Pacifico all’Oceano Indiano e persino al Medio Oriente, grazie all’appartenenza al cosiddetto gruppo I2U2, che comprende anche Israele e gli Emirati Arabi Uniti.
E questa crescita dei legami tra Stati Uniti e India è tanto più notevole se si considerano i limiti di questa relazione.
“Una delle ragioni fondamentali per cui ritengo che le relazioni tra Stati Uniti e Cina non siano in uno spazio come quello delle relazioni tra Stati Uniti e India è che c'è un enorme rispetto reciproco perché siamo entrambe democrazie”, ha invece detto Biden, aggiungendo: “Ed è un carattere democratico comune di entrambi i nostri paesi e dei nostri popoli, la nostra diversità, la nostra cultura, il nostro dibattito aperto, tollerante e robusto”. Modi, rivolgendosi ai giornalisti insieme a Biden, ha colto il commento dell’americano sul fatto che la democrazia è nel “DNA” sia dell’America che dell’India, affermando che “nei valori del suo paese non c’è assolutamente alcuna discriminazione, né sulla base della casta, né del credo, né dell'età, né di qualsiasi tipo di posizione geografica”
La retorica attorno alla democrazia — alle “due più grandi democrazie del mondo”, come viene spesso ripetuto — tuttavia poteva sembrare promettente un decennio fa, ma adesso forse può sembrare un po’ superata. Dopo tutto, la democrazia ha affrontato sfide anche negli Stati Uniti; e Nuova Delhi si è discostata in modo evidente da alcuni degli obiettivi di politica estera basata sui principi democratici di Washington, come l’isolamento della Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Dunque, la linea comune è più che altro ancorata al pragmatismo, al rispetto reciproco senza intrusioni, al riconoscimento dei ruoli di primo piano sul contesto internazionale, alla necessità e, in buona parte, alla volontà di sovrapporre alcuni interessi.
L’India, in effetti, non sembra interessata per ora a essere un partner esclusivo degli Stati Uniti. Per salvaguardare la propria autonomia strategica, rinuncia a essere un alleato formale, ma resta comunque nella strettissima cerchia di coloro che Washington considera indispensabili (possibilità di divergenze concessa a Nuova Delhi e praticamente a nessun altro). La creatività politico-diplomatico con cui Washington gestisce il dossier India — apparentemente ponendo in questa fase le questioni ideologiche legate alla protezione di diritti e valori democratici su un canale a parte — potrebbe anche essere precursore di un certo genere di atteggiamento e proiezione (sempre che dall’altro lato ci sia un attore con cui valga la pena impegnarsi in modo particolare).