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Lo Yemen e le missioni archeologiche italiane

La riscoperta e la protezione del patrimonio archeologico yemenita al centro della cooperazione culturale tra Italia e Yemen. L’analisi di Rossella Fabiani

In ricordo dell’orientalista Alessandro de Maigret. Con questo omaggio al celebre archeologo italiano venne inaugurata a Roma l’ultima mostra dedicata allo Yemen: “Il trono della Regina di Saba”, allestita al Museo Nazionale d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci”, a suggello delle storiche relazioni tra Italia e Yemen. Un omaggio dovuto. Perché fu proprio il professor de Maigret ad avviare la prima missione archeologica italiana in Yemen nel 1980. Una missione che si mantiene in attività tuttora. Sebbene, dal 2014, non più in presenza.

L’intento della missione fondata da Alessandro de Maigret era quello di risalire alle origini dei Sabei e dei loro predecessori, come pure di stabilire una cronologia esatta della storia dello Yemen pre-islamico. La scoperta, nel 1981, delle vestigia dell’Età del Bronzo in Yemen fu la prima testimonianza di una cultura antecedente ai Sabei e permise di inserire l’Arabia Meridionale nel contesto culturale delle regioni settentrionali della Mezzaluna Fertile.

Gli scavi condotti all’interno della città turrita di Yala ad-Durayb (l’antica Hafari), scoperta da de Maigret nel 1985, permisero di avere una cronologia certa per i livelli più antichi, databili tra il XII e il VII secolo a.C. Gli scavi sistematici che la missione archeologica italiana ha condotto negli anni 1990 e 2000 nella città minea di Baraqish (l’antica Yathill) e a Tamnà, la capitale del Regno del Qataban, hanno permesso di evidenziare una koinè culturale nel periodo più antico della civiltà sudarabica. Dal 2011 la situazione in Yemen preclude qualsiasi ricerca sul campo. L’ultima volta che la missione è stata nel Paese, ma soltanto nella capitale a San’a, risale al 2014. Tuttavia, dal 2012 a oggi la cooperazione culturale tra Italia e Yemen continua sia con progetti di formazione in archeologia e restauro realizzati in Italia e rivolti a funzionari della Organizzazione Generale per le Antichità e i Musei (Ogam), sia con mostre e convegni, sostenuti dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dall’associazione scientifica Monumenta Orientalia. Lo scopo principale della cooperazione italo-yemenita oggi è quello di sostenere il ministero della Cultura dello Yemen nel suo difficile impegno per la salvaguardia del patrimonio culturale del Paese.

Se molto si deve alla presenza italiana in Yemen anche per le importanti missioni scientifiche finalizzate allo studio della flora, della fauna e della geologia, datate già da fine ’800, è l’archeologo Alessandro de Maigret che nel 1980 crea, all’Orientale di Napoli, la prima missione archeologica italiana in Yemen. Oltre a una ricostruzione della ricca e complessa preistoria del Paese, alla missione di de Maigret si deve la scoperta, nel 1981, delle vestigia dell’Età del Bronzo yemenita. Quando nel 1980 si affacciò questa missione italiana, l’allora direttore delle antichità, qadi Isma’il al-Aqwa’, storico dello Yemen medievale, offrì al professore de Maigret di esplorare la zona che si chiama Khawlan al-Tiyal. E fu in questa area a sud est di Sana’a che l’orientalista scoprì il primo insediamento dell’Età del Bronzo mai rinvenuto nello Yemen portando alla luce più di una cinquantina di siti di questa fase pre-sabea nella regione montuosa fino ad allora inesplorata.

Dello Yemen si conosceva la preistoria (paleolitico e neolitico) e l’età storica (età del ferro), ma c’era un periodo di vuoto e scoprire le testimonianze di un’età storica di cui si ignorava l’esistenza è stato molto importante. Le ricerche sul periodo sabeo, invece, portarono, nel 1985, al ritrovamento di un grande complesso di rovine (Wad Yala) nel margine desertico orientale, che, dopo Marib, può essere considerato il più importante giacimento sabeo sinora scoperto nello Yemen. Presidente di «Arabia Antiqua» (Associazione internazionale per gli studi sulla Penisola Araba), fin dalla nascita nel 1991, de Maigret ha condotto scavi anche in altri Paesi, in particolare in Arabia Saudita dal 1993 al 1997. L’avvio di un programma di collaborazione con la missione archeologica francese diretta da Christian Robin, portò, poi, il professor Alessandro de Maigret, nel 1998, a dirigere una campagna di scavi anche nel tempio sudarabico di Yeha, in Etiopia, e, tra il 1999 e il 2004, a condurre sei campagne di scavo a Tamnà, l’antica capitale del regno sudarabico del Qataban.

Ma con lo Yemen de Maigret ha stretto “relazioni tali che hanno lasciato un’impronta chiara sulla cultura yemenita, in particolare nel settore archeologico e del restauro”, come sottolineano i tanti professionisti yemeniti che la sua scuola ha formato. Sana’a, Shabwa, Marib, sono le città dove la presenza italiana ha consentito la valorizzazione del patrimonio artistico yemenita ed è “grazie al lavoro del professore Alessandro de Maigret e di tutti gli altri storici e archeologi italiani che per anni hanno lavorato in Yemen – ci dicono – che il popolo yemenita ha potuto comprendere e conoscere la propria storia”. Un riconoscimento che il governo yemenita ha voluto esprimere, anche dopo la scomparsa dello studioso, conferendo alla sua memoria una medaglia commemorativa del lavoro svolto in Yemen per la valorizzazione e la salvaguardia del patrimonio culturale e archeologico che è stata consegnata alla vedova di de Maigret, la professoressa Sabina Antonini de Maigret, che attualmente dirige la missione archeologica italiana nella sua opera, prima in presenza e ora a distanza.

L’ultimo programma 2020-2022 ha avuto l’obiettivo di valutare la condizione dei monumenti danneggiati in vista di un futuro restauro per la promozione della grande ricchezza del patrimonio culturale della più antica civiltà della Penisola Arabica. Ci vorranno diversi anni per documentare lo stato di conservazione di tutti i monumenti che sono stati colpiti nel conflitto ancora in corso. Tuttavia, come primo passo, grazie a un generoso finanziamento della Fondazione Aliph (International alliance for the protection of heritage in conflict areas), è stato redatto un primo elenco di monumenti da analizzare. La valutazione dello stato di conservazione dei monumenti costituirà la base per pianificare il restauro del patrimonio dello Yemen. Il progetto ha consentito agli esperti yemeniti di documentare lo stato di conservazione di un certo numero di monumenti storici - alcuni gravemente danneggiati - per fornire uno strumento di valutazione da applicare in futuro su tutti i siti per stabilire le priorità degli interventi e pianificare gli sforzi per il loro recupero e per la loro conservazione.

“Il mio intento è portare avanti le ricerche con lo stesso spirito con cui la missione ha sempre operato – sottolinea la professoressa Sabina Antonini – stimolando il rapporto di amicizia e collaborazione con la parte yemenita e la capacità di farsi accettare dalla comunità in cui si opera, nel pieno rispetto delle regole locali. Lo Yemen, come tutta la Penisola arabica, è un campo di ricerca ancora poco esplorato, dove ogni anno si fanno importanti scoperte innescando dibattiti internazionali molto vivaci sulle origini della civiltà sabea e sulla formazione dell’Islam. Non dimentichiamo che l’alto livello di sviluppo raggiunto nell’antichità dai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo è dovuto anche alle relazioni che essi ebbero con il Golfo Arabico, grazie agli intensi scambi commerciali sia via mare che via terra con la Carovaniera dell’incenso, che si formava proprio nello Yemen e che attraversava tutta la Penisola, rimasta in uso sino all’avvento dell’Islam”.

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