L'orgoglio del mondo arabo
Riproponiamo l'articolo di Umberto Tavolato, Direttore dell'U.O Progetti Speciali della Med-Or Italian Foundation, pubblicato da "Il Mattino" il 7 febbraio 2025
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Il piano di Donald Trump volto a far sì che gli Stati Uniti “prendano il controllo” e “acquistino” Gaza, con l’obiettivo di trasformarla nella “Riviera del Medio Oriente” e facilitare il trasferimento della sua popolazione, ha ricevuto un chiaro rifiuto da parte degli stati arabi. Questi includono la Giordania e l’Egitto – i paesi nei quali Trump prevede di trasferire i palestinesi di Gaza –, insieme agli stati del Golfo, come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, che nella visione di Trump dovrebbero rappresentare i finanziatori di questa iniziativa.
Il messaggio di unità delle capitali arabe contro lo scenario di espulsione di massa dei Palestinesi di Gaza è stato anche veicolato dal principe Turki al-Faisal, ex ambasciatore dell’Arabia Saudita negli Stati Uniti ed ex capo del servizio segreto del regno che da decenni rappresenta una voce araba autorevole sulla questione Palestinese, nel programma di Christiane Amanpour su CNN. Apparendo indossando una kefiyyah palestinese, Turki, che in Italia è membro del board internazionale della Med-Or Italian Foundation, ha dichiarato che il Piano Trump è una fantasia e che si tratterebbe di una pulizia etnica nei confronti dei palestinesi, sottolineando invece come la soluzione migliore sia il riconoscimento di uno stato palestinese, che aprirebbe le porte anche alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Israele e l’Arabia Saudita. La posizione araba coincide con quella europea, come ribadito dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani, proprio oggi in visita a Tel Aviv.
A essere precisi, l’idea di riqualificare Gaza sotto la leadership internazionale non era una novità. Le discussioni su un possibile ruolo degli stati arabi in questo ambito sono in corso da tempo, con gli Emirati Arabi Uniti in prima fila, data la firma degli Accordi di Abramo e il loro ruolo nel facilitare i corridoi umanitari per i palestinesi. Gli stati del Golfo sarebbero sicuramente interessati a riqualificare Gaza e investire massicciamente negli sforzi di ricostruzione. Sono di certo avvezzi a spregiudicatezza e progetti immobiliari di lusso, come dimostrano il progetto Saudita di Neom e l’esperienza di successo di Dubai. Ciò che li distingue da Trump è però lo stile negoziale. Il neoeletto presidente ama annunciare idee glamour ai media prima di discuterle con gli interlocutori, pensando che questo prepari il terreno per ulteriori concessioni – una tattica utilizzata per le tariffe commerciali, la Groenlandia e ora Gaza. I paesi arabi, invece, essendo perlopiù monarchie assolute, hanno un approccio tradizionalmente molto più cauto e distaccato nei confronti dei media e preferiscono definire ogni dettaglio prima di comunicare al pubblico più ampio.
Trump, mettendo le monarchie arabe di fronte a proposte rivoluzionarie su un tema ipersensibile per le loro popolazioni, come è la questione palestinese, ha ricevuto un brusco rifiuto dai player del Golfo.
Il Piano non si realizzerà, dunque. Tuttavia, le sue dichiarazioni, per quanto stravaganti, avranno svariate conseguenze. Perché ciò che ha annunciato Trump implicherebbe la fine della politica americana sin dai primi anni 90’ in supporto ad una soluzione a due stati (cioè l’istituzione di una Palestina indipendente accanto a Israele). Averlo dichiarato a fianco di Benjamin Netanyahu, da sempre contrario all’idea di “due stati per due popoli”, è una vittoria politica enorme per il premier israeliano.
Un problema immediato è il cessate il fuoco a Gaza, che potrebbe risultarne indebolito. Hamas e altri gruppi armati palestinesi potrebbero sentire il bisogno di rispondere a Trump con qualche forma di dimostrazione di forza contro Israele. Molti palestinesi credono già che Israele stia utilizzando la guerra contro Hamas per distruggere Gaza ed espellere la popolazione – e ora potrebbero credere che Donald Trump stia dando il proprio assenso ai piani di Israele. Allo stesso tempo, l’annuncio del presidente americano nutrirà i sogni degli ultranazionalisti ebraici, che vogliono che la guerra a Gaza riprenda con l’obiettivo di rimuovere i palestinesi e sostituirli con ebrei. I loro leader sono parte del governo di coalizione in Israele e l’annuncio di Trump aiuterà sicuramente Netanyahu a rimanere al potere.
In cambio, Trump vorrà via libera da parte dell’alleato nel cercare una soluzione negoziale con l’Iran. È chiaro che dopo la sconfitta di Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano e Bashar al Assad in Siria, Israele avrebbe ora l’opportunità di assestare un colpo decisivo anche contro il programma nucleare dell’Iran, mai stato così debole. La spallata decisiva richiederebbe, tuttavia, un intervento americano che sembra improbabile al momento.
Malgrado l’annuncio di questa settimana del ritorno ad una politica di “massima pressione” nei confronti dell’Iran, Trump ha sottolineato il suo impegno a negoziare un nuovo accordo nucleare con l’Iran che possa far risparmiare al Medio Oriente una nuova guerra. Su questo il tycoon trova d’accordo gli stati del Golfo, che in questi ultimi anni hanno cercato la via del dialogo con Teheran. Si tratta di una vera e propria giravolta da parte del presidente americano rispetto alla politica adottata nel suo primo mandato, quando ritirò gli Stati Uniti dall’accordo nucleare JCPOA concluso da Barack Obama.
Molto è cambiato nella regione da quando è terminato il primo mandato di Trump nel gennaio 2021. La sua seconda amministrazione si sta approcciando al Medio Oriente in modo diverso rispetto a quanto fatto in passato. In questo contesto, l’annuncio stravagante su Gaza rafforza le paure di chi teme che la soluzione “due stati, due popoli” non sia mai stata così lontana, quasi più uno slogan che una realtà concreta. Il Piano ha, però, anche risvegliato le coscienze arabe e la questione palestinese, tutt’altro che defunta.