Maghreb, un bilancio dell’anno appena concluso
Snodo nevralgico tra Atlantico e Medio Oriente, tra Europa e Africa subsahariana, il Maghreb si conferma incubatore di sviluppi cruciali per gli assetti mediterranei. Un bilancio del 2023 di Francesco Meriano
Snodo nevralgico tra Atlantico e Medio Oriente, tra Europa e Africa subsahariana, il Maghreb si conferma incubatore di sviluppi cruciali per gli assetti mediterranei. Il bilancio del 2023 vede Algeria, Marocco e Tunisia quali esempi principe del rinnovato dinamismo – e della rinnovata fragilità – dell’occidente arabo.
Si rafforzano, per cominciare, i rapporti con l’Europa. Gli obiettivi di diversificazione energetica dalla Russia continuano a informare i rapporti tra Algeria e Italia, mentre il Marocco, virtualmente privo di idrocarburi, si affida a Madrid per supplire al taglio delle forniture di gas algerino. Progredisce l’interconnessione: la Commissione finanzia il cavo elettrico El Med e il collegamento in fibra BlueMed tra Italia e Tunisia, mentre il Marocco avvia il progetto XLinks – coadiuvato da Emirati Arabi e Francia – per l’esportazione di elettricità nel Regno Unito.
Al tempo stesso, lo sgretolamento delle statualità in Libia e nel Sahel permette agli attori nordafricani di agire da cordone sanitario tra le forze centrifughe originate in Africa subsahariana – criminalità transfrontaliera, proliferazione del terrorismo jihadista, aumento della pressione migratoria – e la sponda settentrionale del Mediterraneo. Posizione, questa, in grado di fruttare notevoli contropartite. La chiusura delle frontiere marocchine ai flussi migratori nello stretto di Gibilterra, ufficializzata con il vertice Marocco-Spagna di febbraio, sancisce il revirement di Madrid a favore del regno alawide e riapre i (sofferti) negoziati per la normalizzazione doganale di Ceuta e Melilla, la ridefinizione dei confini marittimi prospicienti alle Canarie, lo spazio aereo del Sahara occidentale. Mentre in luglio l’Italia, esposta al massiccio aumento dei flussi migratori trans-mediterranei, negozia la stipula di un memorandum UE-Tunisia per l’assistenza finanziaria e la cooperazione frontaliera. La Francia tenta di arginare l’erosione della propria influenza in Nordafrica e coltiva una politica distensiva, ripristinando le relazioni consolari e la regolare mobilità con Marocco e Algeria.
Ma la ridefinizione dei rapporti con l’Europa è incrinata tanto dalla storia recente – caso simbolo è l’avvallo europeo dell’intervento NATO in Libia –quanto da due secoli di lascito coloniale. A quasi un anno dagli accordi di febbraio, la risoluzione delle dispute territoriali ispano-marocchine non registra progressi e risveglia vecchi attriti a Rabat e a Madrid, mentre il presidente tunisino, Kais Saied, rinvia la visita della delegazione UE incaricata di verificare l’effettiva implementazione del memorandum e rifiuta una prima tranche di aiuti finanziari europei.
In parallelo, a meridione, il dissesto politico del Sahel determina una battuta d’arresto per la proiezione di Algeri verso l’entroterra subsahariano e ne minaccia il confine sud: la mediazione algerina non ferma la recrudescenza delle insurrezioni tuareg e jihadiste in Mali, mentre il golpe militare in Niger mette in discussione la cooperazione frontaliera avviata sotto la presidenza Bazoum. La crescente entropia lungo l’asse commerciale trans-sahariano favorisce, in alternativa, l’outreach marocchino verso le economie dell’Africa occidentale, teatro di una (rara) visita istituzionale di re Mohamed VI in Gabon e di un donativo di fertilizzante al Senegal. Estroflessione rafforzata dall’annuncio, nel discorso reale di novembre, della creazione di una piattaforma a egida marocchina per lo sviluppo della regione e dei paesi land-locked del Sahel.
Crescono anche i fattori di insicurezza regionali. In Tunisia, i flussi migratori attraverso il confine con la Tripolitania acuiscono le tensioni presso il valico di Ras Jedir, snodo chiave del commercio libico-tunisino, dove il governo Dbeiba ha schierato in estate un corpo militare. Si profila una nuova crisi umanitaria nel porto di Sfax, a più riprese teatro di tumulti tra cittadini e migranti subsahariani, mentre la retorica di Saied – che in febbraio ha definito il fenomeno migratorio come una minaccia all’identità araba del paese – incrina i rapporti tra Tunisi e l’Unione Africana.
Sale la tensione anche tra Marocco e Algeria. La salva di artiglieria che in settembre ha colpito la città di Smara rinfocola la cronica disputa sul Sahara occidentale, ma la crisi si innesta sui contemporanei sviluppi in Medio Oriente. In luglio, il riconoscimento da parte di Israele della sovranità marocchina sul territorio conteso ha registrato una nuova vittoria per l’offensiva diplomatica intrapresa sul dossier sahariano dalla cancelleria di Rabat, il cui accesso agli Accordi di Abramo le aveva già fruttato, a fine 2020, l’appoggio degli Stati Uniti a scapito dei rivali algerini. Successi a doppio taglio: le operazioni militari avviate da Israele contro Gaza, a seguito degli eventi del 7 ottobre, minano ora la tenuta del partenariato commerciale e militare tra il regno alawide e lo Stato ebraico e suscitano critiche vigorose nell’opinione pubblica, rivitalizzando le opposizioni politiche al palazzo. Si tratta di una congiuntura insolitamente delicata per gli equilibri del paese, già incrinati dal terremoto che – nella notte di venerdì 8 settembre – ha devastato la regione di Marrakesh e sollevato accuse alla percepita inadeguatezza dei soccorsi governativi.
Tratti chiaroscurali, infine, anche per gli indicatori economici. Se Marocco e Tunisia arginano le pressioni inflattive, mantenendo i tassi di riferimento di ottobre ancorati rispettivamente al 3% e all’8%, il Maghreb continua a soffrire l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, innescato dal disturbo delle forniture di grano russo-ucraine e dalla cronica siccità che, esacerbata dal cambiamento climatico, danneggia la produzione agricola della regione. Per il regno alawide, l’anno venturo profila la sfida di contenere l’inflazione finanziando, al tempo stesso, la ricostruzione post-sisma. Ma soprattutto non si arresta il deterioramento dell’economia tunisina, declassata da Moody’s a Caa2 con previsioni negative: il rapporto debito/PIL, che a fine anno ha raggiunto un soffocante 80%, resta pericolosamente sensibile agli shock fiscali derivati dalla volatilità dei prezzi di materie prime e generi alimentari, profilando il costante rischio del default. Eventualità che, oltre a compromettere la cooperazione energetica e migratoria con Europa e Italia, minaccia effetti spillover in una regione già minata da criticità securitarie.
Sabbie mobili in cui, alle porte dell’Europa, trova terreno fertile l’interesse di nuovi competitor internazionali. In Algeria, la Cina investe sul comparto petrolchimico, sulle ferrovie e sulle miniere di ferro, della cui produzione Pechino è primo importatore, e si afferma come seconda fornitrice di armi (dopo la Russia) per un comparto militare in crescita esponenziale; ma investe anche in Marocco sui settori in espansione di rinnovabili e idrogeno verde, e ventila – a dispetto del pronunciato downturn economico in patria – la concessione di aiuti economici alla Tunisia, i cui negoziati con il Fondo monetario internazionale sembrano essersi nuovamente arenati. La Turchia incrementa le importazioni di idrocarburi algerini e – sullo sfondo della guerra per procura nel Sahara occidentale – negozia la fornitura di droni e trasporti blindati tanto al Marocco quanto all’Algeria. La Russia, il cui predominio militare in Algeria è insidiato da turchi e cinesi, sfrutta il vertice russo-africano di San Pietroburgo per promettere, nonostante il mancato rinnovo della Black Sea Grain Initiative, nuove forniture cerealicole ai paesi del Maghreb.
Un quadro in mutamento, dunque, alla cui definizione risulterà determinante l’azione italo-europea. Il 2023 profila il potenziale di Roma quale interlocutore di riferimento tra Bruxelles e l’occidente arabo. Ruolo rispecchiato dal rafforzamento dei legami commerciali (che vede l’Italia confermarsi primo partner di Algeri e secondo di Tunisi) e favorito dal contestuale declino dell’astro francese. Lo rileva l’intensificarsi dei vertici istituzionali (Meloni è ad Algeri in gennaio, più volte a Tunisi in estate; Saied partecipa alla Conferenza di Roma su migrazioni e sviluppo, in agosto) e dei partenariati strategici volti a posizionare l’Italia quale snodo trans-mediterraneo di energia e comunicazioni. Si articola anche la cooperazione industriale con l’apertura di un polo Fiat nella wilaya algerina di Orano, ad affiancare lo stabilimento di Kenitra in Marocco. Sinergie il cui sviluppo, nel breve e medio termine, risulterà fondamentale alla tutela del sistema paese nel Mediterraneo occidentale.