Muhammad Iqbal. Mistico visionario e geopolitico inconsapevole
Terzo appuntamento con le "Vite nella storia del Mediterraneo", la rubrica a cura di Pietrangelo Buttafuoco. In questo approfondimento la vita e la storia di Muhammad Iqbal.
Personalità complessa e inevitabilmente contraddittoria, perché inevitabilmente anfibia fra l’India hindu e quella islamica, ma anche fra la cultura europea e le diverse tradizioni asiatiche, ‘Allāma Muhammad Iqbal (1873-1938), massimo poeta contemporaneo dell’India musulmana, è stato un importante ispiratore e precursore politico e spirituale del Pakistan, lo stato islamico che nascerà, nove anni dopo la sua morte, anche grazie al suo pensiero e ai suoi insegnamenti. Ruolo che fa di lui uno dei principali protagonisti della storia contemporanea del Subcontinente indiano. La sua vita e la sua opera, si possono considerare la dimostrazione esemplare della stretta connessione che da sempre esiste ovunque, ma soprattutto in Asia, fra momento religioso e momento politico, fra mistica e potere. Daremo qui un’interpretazione della sua singolare figura che è il frutto dell’incontro fra la cultura illuminista, nazionalista, ma anche colonialista dell’Occidente, con quella indo-musulmana dell’India, ponendoci dal particolare punto di vista della geopolitica delle religioni.
Muhammad Iqbal nasce nel 1877 a Sialkot, nell’India britannica, nella provincia del Punjab. Come ha scritto Alessandro Bausani, “Tre elementi contribuivano a formare l’atmosfera così singolare di quelle regioni in questo periodo: la cultura inglese, l’Islam e l’Induismo.”[1] È importante ricordare l’origine hindu della famiglia di Iqbal. I nonni, che si convertirono all’Islam durante il regno dell’Imperatore Moghul Shah Jahan, erano infatti degli antichi Bramini kashmiri, la cui stirpe proveniva da Srinagar. Secondo quanto tramandato in famiglia, era stato il bisnonno Baba Laleh a convertirsi per primo. Mentre del padre, Nur Muhammad, si diceva che fosse un grande mistico, e Iqbal stesso raccontava di averlo visto, mentre era immerso in un profondo stato di enstasi spirituale, irradiare un’aura di luce talmente intensa e diffusa, da inondare la stanza nella quale si trovava. Iqbal non rigetterà mai del tutto la sua ascendenza induista, che, da un punto di vista intellettuale, poté del resto facilmente fondersi con quella componente dell’Islam indiano che era stata e che rimaneva culturalmente più vicina all’ambiente mistico ed esoterico del Sufismo. L’appellativo ereditario di ‘Allāma, ‘Dottissimo’, del quale con diritto si fregiava, stava tradizionalmente ad indicare i discendenti hindu di alta casta che si erano convertiti all’Islam. Avrà quindi spesso l’occasione di definire se stesso “a son of Kashmiri Brahmans, but acquainted with the wisdom of Roomi and Tabrez.”[2] Muhammad Iqbal, da molti punti di vista, va quindi considerato come uno degli ultimi eredi del prezioso retaggio storico e spirituale lasciato dal grande Impero Moghul, durato ben più di tre secoli e de iure conclusosi nel 1858, appena quindici anni prima della sua nascita. Per quanto concerne la spiritualità islamica, Iqbal è fra l’altro l’autore di un Jāvēd-nāma o Libro Eterno in lingua persiana, pubblicato nel 1932 a Lahore, da lui considerato come il proprio opus magnum, e che si inscrive nella tradizione dei poemi sull’Ascensione notturna del Profeta Muhammad. Sembra più interessato a certi aspetti dottrinali e metafisici, che non ad aspetti meramente confessionali o a una diretta esperienza mistica. In particolare si documenta e approfondisce temi come la personalità assoluta di Dio, che resterà al centro della sua ricerca, e poi la dottrina dell’Unità, dell’Unicità dell’esistenza e dell’Identità metafisica fra chi conosce e chi è conosciuto. Significativamente, dedica il suo primo importante studio al grande sufi persiano ‘Abd al-Karim al-Jili (1365-1418), e non al-Jilani com’egli erroneamente scrive nel titolo[3]; al-Jili sarà da lui considerato un esempio da seguire sia sul piano politico che spirituale[4]. L’articolo è comunque centrato sulla ‘Dottrina dell’Unità’, assolutamente fondamentale nel Sufismo. Un tema sul quale ritornerà, come ha messo in evidenza Janis Ešots, anche nella sua dissertazione di dottorato del 1909[5].
A Sialkot Iqbal compie i suoi primi studi, divenendo Master of Arts, e vi insegna fino al 1905. A Lahore, grazie al prolungato rapporto, prima come allievo e poi come amico, con Sir Thomas Arnold (1864-1930), studioso dell’Islam e professore di filosofia al Government College, viene introdotto alla conoscenza del pensiero e della cultura europea. Inizialmente nazionalista, e quindi favorevole all’instaurazione di un unico, grande Stato indiano, come dimostrano alcune sue composizioni poetiche del 1904, Iqbal modificherà il suo pensiero durante il suo soggiorno in Europa, finendo con il concepire l’idea di nazione nel senso puramente religioso di millat, cioè dell’Islam tutto intero[6]. Thomas Arnold lo esorta infatti ad approfondire gli studi in Inghilterra. Così, mentre al Trinity College di Cambridge consegue il diploma in filosofia, contemporaneamente studia legge a Lincoln’s Inn. Si sposta quindi in Germania, prima a Heidelberg per studiare la lingua tedesca, e infine alla Ludwig Maximilians Universität di Monaco di Baviera dove nel 1908 consegue il dottorato in filosofia con una tesi, The Development of Metaphysics in Persia. A contribution to the History of the Muslim Philosophy, dedicata allo sviluppo del pensiero metafisico nell’Iran preislamico. Per tutta la sua vita, fra l’altro, Iqbal preferirà scrivere in farsi, ritenendola la lingua più adatta ad esprimere dei concetti filosofici. In Europa rimane solo tre anni, ma saranno anni fondamentali, sia per lo sviluppo del suo pensiero politico, che per l’approfondimento del punto di vista occidentale riguardo alle culture e civiltà dell’Asia.
Iqbal, che resterà comunque un modernista moderato sia sul piano politico che su quello religioso, grazie al breve ma intenso soggiorno europeo abbandona definitivamente la propria iniziale illusione nazionalista, riconoscendo in essa la causa principale delle profonde divisioni fra gli Stati europei, che porterà alla tragedia immane della Prima Guerra Mondiale, e finirà con l’abbracciare una posizione di ‘universalismo sopranazionale islamico’, come lo definisce Bausani. Il preannuncio di tale cambiamento è già del 1905, durante il viaggio in nave dall’India all’Inghilterra, quando la visione a distanza della Sicilia, in passato dominata dai Musulmani, suscita in lui, pars pro toto, il rimpianto per la perduta grandezza del dominio islamico, arrivato a spingersi in Occidente fino alla Spagna e al cuore del Mediterraneo, sommato al ricordo delle sconfitte più significative che ne avevano segnato la decadenza, come scrive nella poesia in urdu intitolata Sicilia (Siqilliya):
Piangi ora a cuore aperto, o occhio mio bagnato di sangue!
Ecco t’appare da lungi la tomba della civiltà del Hijāz.
Un tempo qui v’era una folla di snelli abitatori del deserto,
correvano agili il mare, qui, le loro navi, un tempo.[7]
Nel 1930, chiamato a presiedere la sessione annua della Muslim League ad Allahabad, per la prima volta delinea l’idea del Pakistan come soluzione del problema religioso e politico dell’India. Nell’autunno 1931, si reca nuovamente a Londra, per partecipare alla Second Round Table Conference dedicata dal Governo britannico, con la partecipazione di personalità politiche indiane, alla discussione delle possibili riforme costituzionali in India, risoltasi ovviamente in un fallimento. Sulla via del ritorno, avendo accolto l’invito dell’Accademia d’Italia a tenere una relazione il 28 novembre, la vigilia viene ricevuto da Mussolini a Palazzo Venezia. La sua conferenza, viene pubblicata sui principali quotidiani italiani. L’attenzione geopolitica dell’Italia d’allora per l’India e per i suoi leader, è del resto ben nota. Diversamente da quanto hanno ritenuto diversi studiosi, Iqbal non fu mai un nazionalista, fino alla fine della sua vita. Poco prima della sua morte, sopravvenuta nell’aprile del 1938, Iqbal sostenne un pubblico dibattito, sulla compatibilità o meno fra Islam e nazionalismo, con Hussain Ahmad Madani (1879-1957), l’autorevole rappresentante del movimento conservatore sunnita dei Deobandi. Come scrive Iqbal Singh Sevea,
Iqbal, however, accused Madani of having strayed from the path of Islam in calling for the adoption of nationalism. Iqbal saw nationalism as ‘the greatest enemy of Islam’ and devoted much of his work to warning Muslims against adopting nationalism and the model of the nation-state. Unlike Madani and a number of his contemporaries, Iqbal argued that the adoption of modern political ideals and institutions such as nationalism would require a radical transformation of the structure of Islam itself. This rejection of nationalism centred upon Iqbal’s own controversial construction of Islam as a complete system that could be contrasted against ideologies such as nationalism and socialism, and which provided solutions to contemporary political, social and economic problems.[8]
Nel 1933, Iqbal è invitato a far parte del Governo afghano a Kabul, in qualità di consigliere culturale. Già l’anno successivo si manifestano i primi sintomi della malattia alla gola che gli sarà fatale. Secondo l’autorevole parere di Alessandro Bausani, il suo più importante lascito per la storia del modernismo musulmano-indiano è costituito dal libro Six Lectures on the Reconstruction of Religious Thought in Islam, stampato la prima volta nel 1930 a Lahore, e in edizione riveduta e ampliata ad Oxford nel 1934[9].
Purtroppo, le effettive modalità e condizioni della nascita del Pakistan e dell’Unione Indiana nel 1947, soprattutto la sanguinosa Partition che ne fu la tragica premessa, tradirono quasi del tutto i sogni e gli ideali di Iqbal. Tutte conseguenze non previste, e tantomeno volute da Muhammad Iqbal, che per questo definiremmo un geopolitico inconsapevole. Anche la sua la visione di un Islam rimodellato, mediante la fusione della tradizione dei pensatori musulmani con quella degli intellettuali occidentali moderni e contemporanei, era non tanto in anticipo sui tempi, come ritiene Sevea con altri, bensì un sogno irrealizzabile. Ma come dimostra l’esempio di Recep Tayyip Erdoğan, membro di confraternita prima ancora che politico, il Sufismo sta già da tempo giocando, sottotraccia, un ruolo geopolitico nella riconfigurazione sia dei ‘confini’, che del futuro modello di forma politica degli attuali Stati islamici.
[1] Muhammad Iqbal, Il Poema celeste, a cura di A. Bausani, Leonardo da Vinci editrice, Città di Castello 1965, p. 5.
[2] Vedi Imran Sharif, “Allama Iqbal’s 73d death anniversari observed with reverence”, in PakistanToday, 21 aprile 2011, consultabile in linea: pakistantoday.com.pk.
[3] Muhammad Iqbal, “The Doctrine of Absolute Unity as Exspounded by Abdul Karim al-Jilani”, in Indian Antiquary, 29, 1900, pp. 237-246. Il titolo, che tradisce una grave confusione fra due diversi autori, verrà poi corretto dallo stesso Iqbal nel 1908.
[4] Vedi Feyzullah Yilmaz, “Overcoming Nihilism Through Sufism. An Analysis of Iqbal’s Article on ʿAbd al-Karīm al-Jīlī”, in Journal of Islamic Studies, Volume 30, Issue 1, January 2019, pp. 69-96.
[5] Cfr. Janis Ešots, Mullā Sadrā’s Teaching on Wujūd: a synthesis of mysticism and philosophy, Tlü Kirjastus, Tallinn 2007, p. 11.
[6] Cfr. Muhammad Iqbal, Il Poema celeste, op. cit., p. 228, n. 13.
[7] Muhammad Iqbal, Il Poema celeste, op. cit., pp. 226-227.
[8] Iqbal Singh Sevea, The Political Philosophy of Muhammad Iqbal. Islam and Nationalism in Late Colonial India, Cambridge University Press, Cambridge 2012, pp. 1-2.
[9] Muhammad Iqbal, Il Poema celeste, op. cit., pp. 12-13.