Myanmar: la situazione nel paese tra terremoto e guerra civile
Il terremoto che ha colpito il Myanmar il 28 marzo 2025 rischia di aggravare ulteriormente la già critica situazione del Paese, segnato da una lunga guerra civile e da profonde fragilità politiche, economiche e sociali.

La situazione in Myanmar risulta essere particolarmente critica alla luce delle ultime calamità naturali che hanno colpito il paese e della complessa crisi politica che lo affligge da tempo. Infatti, nel 2021, un colpo di stato condotto dalle forze armate (Tatmadaw) depose il governo democraticamente eletto l’anno precedente facendo precipitare il Myanmar nella guerra civile. Il conflitto vede da allora contrapporsi non solo la giunta militare o State Administration Council (SAC) ed il governo in esilio del National Unity Government (NUG) – supportato militarmente dalle People’s Defense Force (PDF) – ma anche le varie milizie etniche (EAOs), che nella storia del paese si sono scontrate più volte con il governo centrale.
Ma in questa situazione già grave di crisi interna, il 28 marzo scorso un violento terremoto ha colpito il paese. Il sisma, di magnitudo 7.7 della Scala Ritcher con epicentro nella regione di Sagaing, nella porzione nordoccidentale del Myanmar, risulta tra i più potenti degli ultimi anni, e ha provocato sinora, secondo le dichiarazioni ufficiali della giunta militare birmana dell’ultimo periodo, oltre 3600 morti, più di 5000 feriti e 400 dispersi, oltre ad ingenti danni infrastrutturali[1]. Tuttavia, secondo diverse fonti, il bilancio complessivo sarebbe destinato a crescere in modo esponenziale con conseguenze ancora più drammatiche per un paese che, dal 2021, è teatro di una sanguinosa guerra civile.
Il Myanmar è un paese che da lungo tempo subisce tensioni e conflitti interni che ne minano la stabilità e la sicurezza. Sin dalla sua indipendenza dal Regno Unito del 1948, la storia del Myanmar è stata, infatti, caratterizzata dal coinvolgimento di una varietà eterogenea di attori – corrispondenti alle 135 etnie ufficialmente riconosciute – in lotta, il più delle volte, per l’autonomia delle rispettive regioni[2]. Nelle quattordici divisioni amministrative del paese (sette stati e sette regioni) operano, infatti, più di venticinque gruppi armati che nel tempo hanno assunto posizioni diverse, spesso in contrasto tra di loro a causa delle proprie differenze etnico/religiose.
Nel 1962 un colpo di stato militare instaurò un regime di stampo socialista sino al 2011, anno in cui furono avviate le prime riforme politiche ed economiche. Queste portarono, nel 2015, alle prime elezioni libere e alla formazione di un governo democratico. La tornata elettorale successiva (2020) non seguì, però, lo stesso percorso e nel febbraio 2021, come detto, il Tatmadaw rovesciò il governo democraticamente eletto l’anno precedente facendo poi precipitare il paese nel conflitto. Se in un primo momento le forze della giunta sembravano aver sotto controllo la maggior parte del paese, dalla fine del 2023 la situazione ha subito un ribaltamento con il lancio dell’Operazione 1027. Condotta dalla Three Brotherhood Alliance – coalizione composta dall’Arakan Army (AA), nello stato sudorientale di Rakhine, il Myanmar National Democratic Alliance Army (MNDAA), e il Ta’ang National Liberation Army (TNLA) entrambi attivi nello stato Shan al confine con la Cina – l’offensiva, durata da ottobre 2023 a gennaio 2024, per poi riprendere nel giugno dello stesso anno con il supporto anche delle PDF, ha portato ad importanti conquiste per le forze antigovernative che si sono spinte sino a Mandalay, la seconda città del paese.
Secondo le stime più recenti (dicembre 2024), infatti, la giunta militare sembrerebbe procedere in ritirata controllando approssimativamente il solo 21% del paese – anche se esercita il proprio potere sul 59% delle aree urbane – contrariamente al 42% detenuto dai gruppi di resistenza e al restante che risulta invece conteso[3].
In questo contesto, la devastazione prodotta dal terremoto non migliora il drammatico quadro del paese. Secondo le fonti più aggiornate, tra cui l’ultimo Rapporto Speciale ONU sulla situazione dei Diritti Umani in Myanmar di ottobre 2024, il conflitto avrebbe, infatti, causato 3.1 milioni di sfollati, 18.6 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria, 13.3 milioni in condizioni di emergenza generale, 5.800 civili uccisi, 100.000 strutture civili distrutte, più di 21.000 prigionieri politici oltre a ripetute violazioni dei diritti umani[4].
A questi dati drammatici si aggiungono gli ingenti danni dal punto di vista economico. Se prima del 2021 il Myanmar presentava timidi segnali di crescita, lo scoppio del conflitto – unito anche ad altri fattori esterni come la pandemia di Covid 19 – ha fatto precipitare il paese sull’orlo del fallimento. Secondo i dati delle Nazioni Unite in riferimento al periodo 2020-2024, il Pil nazionale ha subito una contrazione del 9% rispetto al quadriennio precedente – quando si era invece attestata una crescita del 27% – oltre a registrare un tasso di inflazione pari al 25.4%[5]. Parallelamente si è assistito al progressivo consolidamento di attività illecite come riciclaggio e narcotraffico – il Myanmar è infatti tra i primi produttori al mondo di oppio, eroina e metanfetamine – che, non solo hanno favorito nel 2022 l’inserimento del paese nella blacklist della Financial Action Task Force (FATF), ma hanno anche contribuito al suo isolamento internazionale.[6]
Sotto questo punto di vista è la Cina, attualmente, il paese con i maggiori interessi nel Myanmar, che includono i giacimenti di minerali critici e terre rare nello stato settentrionale del Kachin, il controllo su oleodotti e gasdotti che attraversano gli Stati Rakhine e Shan, oltre alle diverse infrastrutture chiave che rientrano nel China-Myanmar Economic Corridor. Per tutelare tali asset e per evitare il totale collasso dello stato birmano, Pechino sta mettendo in atto una strategia di mediazione tra le diverse parti – come dimostrato dalle diverse tregue mediate dalla Cina tra il 2024 e l’inizio del 2025 – anche se nell’ultimo periodo sembrerebbe aver intensificato il proprio sostegno alla giunta militare.
Diversa la posizione di India e Russia che non presentano lo stesso grado di influenza della Cina. Se Nuova Delhi è intenzionata alla stabilizzazione del territorio per consolidare i propri interessi economici nella regione – tra cui il Kaladan Multi-Modal Transit Transport Corridor –, Mosca supporta la giunta del paese soprattutto attraverso la vendita di armamenti e investimenti nel settore energetico. In questo senso, nell’ultimo anno l’interscambio tra i due paesi è cresciuto del 40%, ed in occasione dell’incontro a marzo 2025 tra il leader della giunta militare, il generale Min Aung Hlaing, e Putin è stato firmato un accordo per lo sviluppo di una centrale atomica nello stato del sud est asiatico.
In conclusione, il terremoto del 28 marzo ha colpito un Paese, come visto, già devastato da una guerra civile, la cui risoluzione, allo stato attuale, appare ancora lontana. In questo senso, risulta opportuno osservare le conseguenze che il sisma potrebbe avere sull’andamento del conflitto, considerando soprattutto che, nonostante il 2 aprile il Tatmadaw abbia annunciato un cessate il fuoco, diversi sono gli attacchi riportati non solo nei giorni immediatamente successivi al sisma – verosimilmente nel tentativo di sfruttare la situazione a proprio vantaggio – ma anche a seguito della proclamazione della tregua.[7] Proprio la sospensione delle ostilità, se effettivamente rispettata, potrebbe quantomeno facilitare la gestione dell’emergenza umanitaria, lasciando comunque irrisolte le numerose questioni politiche, economiche, etniche e sociali, che continuano a tormentare il Myanmar.
[1] UNDP, Shaken and strained, 2025 (https://www.undp.org/blog/shaken-and-strained).
[2] Da considerare, inoltre, la questione della minoranza islamica Rohingya considerata dall’ONU “the world’s largest stateless population” ma non riconosciuta ufficialmente dal Myanmar ed oggetto di persecuzione da parte del governo centrale.
[3] ACLED, Between cooperation and competition: The struggle of resistance groups in Myanmar, 2024 (https://acleddata.com/2024/11/26/between-cooperation-and-competition-the-struggle-of-resistance-groups-in-myanmar/).
[4] United Nations, A/79/550: Report of the Special Rapporteur on the situation of human rights in Myanmar, 2025 (https://www.ohchr.org/en/documents/country-reports/a79550-report-special-rapporteur-situation-human-rights-myanmar-thomas-h).
[5] UNDP, Myanmar’s Enduring Polycrisis: Four Years into a Tumultuous Journey, 2025 (https://www.undp.org/asia-pacific/publications/myanmars-enduring-polycrisis-four-years-into-a-tumultuous-journey).
[6] FATF, High-Risk Jurisdictions subject to a Call for Action, 2025 (https://www.fatf-gafi.org/en/publications/High-risk-and-other-monitored-jurisdictions/Call-for-action-february-2025.html).
[7] BBC, Myanmar fighting continues despite post-earthquake ceasefires, 2025 (https://www.bbc.com/news/articles/cp31wk21zveo).