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Niger e Sahel tra insicurezza e competizione geopolitica

Le recenti frizioni tra Niamey e Washington potrebbero complicare il quadro del Sahel, regione strategica per l’Europa, sempre più esposta alle ingerenze russe

Il Sahel assiste da tempo ad una spirale di crisi politica e securitaria che non accenna a diminuire. I fattori sono molteplici: peggiorano le condizioni climatiche, il tasso di crescita demografico rimane alto e a ciò non corrisponde uno sviluppo economico adeguato. Aumentano, quindi, le attività terroristiche nell’area, così come il traffico di esseri umani e di merci illegali, facilitati anche dalla porosità dei confini nel deserto. In questo scenario già di per sé preoccupante, si è innestata una deriva antioccidentale che ha favorito diversi colpi di stato, lo scoppio di tensioni e conflitti e la creazione di un terreno fertile per le attività di attori come la Russia.

Mosca, intenzionata a rafforzare la propria proiezione militare nel continente africano e ad incunearsi nelle falle politico-istituzionali della regione, è riuscita in questi anni ad accrescere enormemente la propria penetrazione nel Sahel. Utilizzando talvolta le milizie dell’ex Wagner Group – oggi chiamato Africa Corps – e talvolta gli apparati ufficiali dello stato, il Cremlino possiede oggi una notevole influenza in Libia, Sudan, Ciad, Repubblica Centrale Africana, Burkina Faso, Mali e Niger. In questi ultimi tre paesi, in particolare, è emerso un chiaro collegamento tra la Russia e i golpe che hanno portato al potere rispettivamente Ibrahim Traoré, Assimi Goita e Abdourahamane Tchiani.

In Niger, è notizia del 16 marzo che le autorità abbiano annunciato l’intenzione di interrompere la cooperazione militare con gli Stati Uniti. La dichiarazione è giunta dopo che il primo ministro, Ali Lamine Zeine, e alcuni componenti governativi avevano ricevuto a Niamey una delegazione americana comprendente il comandante dell’AFRICOM, Michael Langley, l’assistente segretario di Stato per gli Affari Africani, Mary Catherine Phee, e l’assistente segretario della Difesa per gli Affari di Sicurezza Internazionale, Celeste Wallander. Durante le diverse interlocuzioni, le parti avevano discusso di questioni di interesse bilaterale e dello status dei circa 1100 soldati americani, stanziati tra la base aerea 101 di Niamey e la più importante base 201 di Agadez. Le autorità di Washington avrebbero, inoltre, espresso preoccupazione per il crescente avvicinamento del Niger a Russia e Iran, innescando la reazione nigerina per presunte “ingerenze americane negli affari interni del paese”.

Attualmente l’eventualità che le truppe americane lascino il Niger non è stata in alcun modo confermata da Washington: in una nota del 18 marzo del Dipartimento della Difesa si legge, infatti, che sono in corso contatti a livello diplomatico per cercare un chiarimento. È vero, tuttavia, che nel corso degli ultimi mesi, le autorità del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP) – l’istituzione al potere in Niger dopo il golpe del 26 luglio – hanno impresso un netto cambio di marcia al posizionamento internazionale del paese.

Dopo aver portato avanti una narrazione antifrancese già nelle settimane immediatamente successive al golpe, era stato deciso il ritiro delle truppe e dell’ambasciatore di Parigi alla fine di settembre. Il 4 dicembre è stata comunicata ufficialmente l’interruzione della cooperazione militare con l’Unione Europea, presente nel paese con le due missioni EUCAP Sahel Niger e EUMPM Niger. Nel frattempo, sono cresciuti i rapporti con Mosca – con la quale a gennaio è stato siglato un accordo di cooperazione nel settore Difesa – e con gli altri paesi della regione entrati nell’orbita di influenza del Cremlino, in primis Burkina Faso e Mali. Con Ouagadougou e Bamako, Niamey ha infatti dato origine all’Alleanza degli Stati del Sahel (AES), un accordo di natura difensiva, caratterizzato da una retorica marcatamente antioccidentale. In parallelo, sono aumentati i contatti del Niger con l’Iran. Oltre ai frequenti incontri – anche nel mese di marzo – tra l’ambasciatore iraniano a Niamey e vari esponenti del nuovo governo, a fine ottobre 2023 il ministro degli Esteri della giunta golpista, Bakary Sangaré, è stato ricevuto a Teheran dall’omologo iraniano, Hossein Amirabdollahian, e dal presidente, Ebrahim Raisi. Il premier Zeine si è poi recato nel paese mediorientale a gennaio per un incontro con Raisi e con il vicepresidente, Mohammad Mokhber. Al centro dei diversi colloqui, il rafforzamento della cooperazione bilaterale, con un’attenzione specifica al settore energetico e a quello estrattivo legato all’uranio. Teheran ha, inoltre, offerto aiuto a Niamey per aggirare le sanzioni internazionali impostegli a seguito del golpe.

Per quanto concerne il blocco euroatlantico, in attesa di capire cosa avverrà con le truppe statunitensi, sembra che i rapporti più stretti con Niamey siano mantenuti da Berlino e, soprattutto, da Roma. In Niger era schierato un contingente tedesco parte della più ampia operazione dell’UE, mentre adesso la Germania non possiede alcuna missione bilaterale attiva nel paese. Si segnala, tuttavia, che il 19 dicembre 2023 il ministro della Difesa, Boris Pistorius, si è recato a Niamey per parlare di possibili nuove forme di cooperazione con il suo omologo, Salifou Mody.

L’Italia, invece, è presente nel paese con la missione bilaterale MISIN, finalizzata al miglioramento delle capacità di controllo del territorio e di contrasto alle minacce securitarie da parte delle autorità nigerine, con area geografica di intervento allargata anche a Mauritania, Nigeria e Benin. Il 9 marzo 2024 il contingente italiano di stanza a Niamey ha ricevuto la visita congiunta del comandante operativo di Vertice Interforze (COVI), generale Francesco Paolo Figliuolo, e del segretario generale della Farnesina, ambasciatore Riccardo Guariglia. La delegazione italiana ha poi incontrato i ministri nigerini degli Esteri e della Difesa, rispettivamente Sangaré e Mody.

In conclusione, pur assistendo ad una crescita della pervasività politica, militare ed economica della Russia e dell’Iran in Niger, allo stato attuale rimangono attive delle forme di cooperazione con gli attori occidentali. La situazione nel Sahel è di sicuro in netto peggioramento rispetto agli anni scorsi e dal golpe del 26 luglio Niamey potrebbe non rappresentare più in futuro un importante riferimento per la sicurezza dei confini meridionali dell’Europa. Adottando un approccio pragmatico è però possibile tentare di ridurre i principali rischi del teatro saheliano, in particolare quelli legati al terrorismo e alle rotte dell’immigrazione irregolare. Certamente un’eventuale crescita dell’instabilità dei paesi di questa area strategica dell’Africa potrebbe avere ricadute molto gravi sia sul resto del continente che anche sui paesi del bacino del Mediterraneo e sul blocco euroatlantico. Anche per questo motivo, il Sahel rimane una regione da monitorare con grande attenzione e per l’Italia il Niger deve costituire un punto fermo della sua politica estera e di difesa in Africa.

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