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Oltre l’Asse: gli Houthi e la diversificazione strategica delle alleanze

Sfruttando la visibilità e la popolarità raggiunte con gli attacchi nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden, il gruppo sta intensificando i contatti con la Russia e con altri gruppi terroristici attivi in Africa e Medio Oriente. L’analisi di Eleonora Ardemagni

Dopo il 7 ottobre, gli houthi dello Yemen (conosciuti anche come Ansar Allah, “partigiani di Dio”) hanno rafforzato l’integrazione politico-militare nel cosiddetto asse della resistenza, guidato dall’Iran, pur rimanendone il gruppo più autonomo. Nel discorso politico e nelle azioni, la leadership degli houthi sta evidenziando la propria appartenenza all’asse.

La notte del primo attacco diretto dell’Iran contro il suolo israeliano (era il 13 aprile scorso), gli houthi hanno lanciato droni verso Israele – poi intercettati – come Hezbollah dal Libano; gli houthi hanno in seguito colpito il centro di Tel Aviv con un drone (19 luglio), provocando una vittima e la ritorsione d’Israele contro il porto yemenita di Hodeida (20 luglio) da loro controllato. E hanno partecipato ai vertici organizzati a Teheran dai pasdaran dopo i funerali di Ebrahim Raisi e Ismail Haniyeh.

Gli houthi stanno però tessendo nuove partnership e alleanze, dentro e fuori il Medio Oriente, proprio ora che si avvicinano ulteriormente a Teheran. Nuove relazioni tutte riconducibili al campo pro-Iran, nonché antioccidentale, ma ´altre` dal binomio Iran-Hezbollah che ha fin qui caratterizzato la “politica estera” houthi nella regione.

Infatti, dal 2024, il movimento-milizia sciita zaidita del nord dello Yemen sta intensificando i contatti con le milizie sciite di Resistenza Islamica in Iraq, con gli Shabaab (affiliati di al-Qaeda) in Somalia, e con la Russia, sfruttando la visibilità e, in parte, la popolarità raggiunte con gli attacchi contro la navigazione commerciale nel Mar Rosso meridionale, Bab el-Mandeb e Golfo di Aden.

Tali forme di potenziale collaborazione – l’una diversa dall’altra – suggeriscono i tre obiettivi attuali degli houthi. Il primo è allargare il raggio geografico delle alleanze, anche al di là del Medio Oriente, includendo Corno d’Africa e potenze extra-regionali. Ciò consentirebbe al movimento-milizia originario di Saada di proiettarsi verso il Mar Mediterraneo e l’Oceano Indiano occidentale, potendo così esercitare un’influenza – anche indiretta, cioè tramite una rete di alleanze – in un quadrante più esteso, anche da una prospettiva commerciale.

Il secondo è assicurarsi canali multipli di fornitura di armi oltre l’Iran nonché, in prospettiva, nuove rendite per finanziare la guerra, in Yemen e fuori dai suoi confini. La diversificazione potrebbe avere innanzitutto una ragione pratica: evitare che gli arsenali houthi non riescano a ´tenere il ritmo` dell’offensiva nel Mar Rosso, a cui va aggiunta la militarizzazione delle linee del fronte in Yemen nel caso la tregua, ormai informale, salti. Il Generale Alexus Grynkewich, Comandante delle forze aeree USA in Medio Oriente, aveva ipotizzato nell’aprile scorso che gli houthi potessero essere a corto di droni e missili anti-nave . Un’ipotesi che riaffiora, però, ogni volta che il movimento-milizia rallenta gli attacchi alla navigazione, salvo poi venire ridimensionata quando la frequenza degli attacchi torna a intensificarsi.

Il terzo obiettivo, quello più strategico, è accrescere l’autonomia del movimento. Per la leadership degli houthi, la priorità è infatti conservare ´mani libere` rispetto all’Iran e all’asse. E questo diventa ancora più fondamentale ora che gli houthi rafforzano la loro integrazione nella costellazione dei gruppi armati filo-iraniani.

Gli Stati Uniti sono convinti che gli houthi stiano già diversificando i fornitori di armi. Il 7 agosto 2024, nel corso di un webinar organizzato dal think tank americano Center for Strategic and International Studies (CSIS), il Vice Ammiraglio George M. Wikoff, Comandante delle Forze navali del Comando centrale (NAVCENT) degli USA (che include anche la V Flotta in Bahrein e le Combined Maritime Forces) ha sostenuto che “gli iraniani certamente sostengono gli houthi, ma gli houthi stanno diversificando”, anche perché “non pensiamo che le forniture [di armi] si limitino per forza agli iraniani.”

Resistenza Islamica in Iraq

In Iraq, gli houthi hanno annunciato nel maggio scorso il coordinamento delle operazioni militari con Resistenza Islamica in Iraq (IRI). La Resistenza Islamica in Iraq è una denominazione emersa dopo il 7 ottobre e utilizzata dalle milizie sciite irachene più vicine all’Iran, tra cui spicca Kataeb Hezbollah, per rivendicare attacchi contro le basi militari ospitanti soldati americani in Iraq e Siria. Houthi e IRI hanno rivendicato alcune operazioni congiunte contro navi commerciali nel Mediterraneo, in particolare vicino al porto israeliano di Haifa: però, nessuno di questi attacchi è stato fin qui confermato, né da Israele né dal Comando centrale americano (CENTCOM). Secondo le investigazioni delle Forze di difesa israeliane, il drone houthi che ha colpito Tel Aviv il 19 luglio scorso (che ha volato per la rotta ´lunga`, sorvolando Mar Rosso, Eritrea, Sudan ed Egitto), non sarebbe stato intercettato anche perché, negli stessi minuti, gli operatori radar d’Israele stavano tracciando un altro drone, lanciato dall’Iraq e poi abbattuto. Forse un ulteriore segno di coordinamento tra houthi e gruppi iracheni.

Le milizie irachene che ´firmano` i loro attacchi con la sigla IRI sono parte delle Forze di mobilitazione popolare. Dunque, appartengono all’asse della resistenza guidato dall’Iran. Sono gli houthi, tuttavia, a gestire direttamente la cooperazione con IRI, seppur con l’avvallo di Teheran: dal 2015, il leader Abdelmalek Al Houthi ha nominato un rappresentante personale a Baghdad. Per il gruppo yemenita, rafforzare la cooperazione con le milizie sciite irachene significa anche poter inaugurare la “quarta fase dell’escalation” nel Mar Rosso che prevede, secondo i proclami degli houthi, attacchi alla navigazione nel Mediterraneo e nell’Oceano Indiano.

Gli Shabaab in Somalia

In Somalia, gli houthi starebbero accordandosi con gli Shabaab per fornire loro armi, in particolare droni: questa è la tesi che l’intelligence degli Stati Uniti ha lasciato trapelare nel giugno scorso, seppur al momento non vi sia ancora evidenza di questo accordo. Al Shabaab è una formazione terroristica sunnita, affiliata di al Qaeda, che riceve aiuti militari anche dall’Iran. Attraverso l’accordo con il gruppo somalo, gli houthi otterrebbero ulteriori profitti per finanziare la guerra – e li riceverebbero tramite un canale diverso da quello iraniano, ma convergente – e potrebbero così coltivare l’ambizione di colpire nell’Oceano Indiano occidentale, grazie ai nuovi partner.

Già nel 2021, un report del Global Initiative Against Organized Crime (GITOC) aveva evidenziato il nesso tra Yemen e Somalia a proposito di armi: alcune armi utilizzate degli Shabaab provenivano dai carichi che l’Iran aveva inviato agli houthi. Nel 2023, il report finale del Panel degli esperti Onu sullo Yemen affermava “l’esistenza di un network strettamente coordinato e operante fra Yemen e Somalia, che riceve armi da una fonte comune”, ovvero l’Iran.

Il ruolo della Russia

Il 2024 sta anche segnando l’intensificazione dei rapporti tra gli houthi e la Russia. Secondo l’intelligence americana, membri dei servizi segreti militari russi sarebbero dispiegati “da diversi mesi” in zone controllate dagli houthi. Tra le motivazioni potrebbero esservi l’addestramento all’utilizzo di armi, fino all’individuazione degli obiettivi commerciali da colpire, in chiave antioccidentale. Il presidente Vladimir Putin avrebbe considerato di fornire missili anti-nave al movimento-milizia, desistendo fin qui grazie alle pressioni dell’ Arabia Saudita: un’ipotesi che ha allarmato gli Stati Uniti.

La posizione di apparente neutralità nel conflitto yemenita fin qui mostrata da Mosca non è formalmente cambiata. Tuttavia, gli scambi con gli houthi si sono fatti assidui e ciò ha coinciso con l’offensiva nel Mar Rosso. Sono già due i viaggi intrapresi in Russia dall’inizio dell’anno da una delegazione houthi per incontrare Mikhail Bogdanov, viceministro degli esteri con delega al Medio Oriente, più una riunione in Oman nel luglio scorso. Senza dimenticare che Mosca sta nel frattempo intensificando i contatti anche con il governo riconosciuto yemenita e ha già una consolidata relazione con i secessionisti meridionali del Consiglio di Transizione del Sud.

Le navi commerciali con la bandiera della Russia non sono state direttamente attaccate dagli houthi nel Mar Rosso; tuttavia, cargo e petroliere con carico russo, soprattutto se con precedenti scali in porti israeliani, sono state colpite nel corso dell’offensiva. Di certo, il dimezzamento del traffico commerciale lungo l’arteria di mare che va da Suez al Bab el-Mandeb fa sì che le navi che ancora scelgono di percorrere quella rotta siano poche e soprattutto non-occidentali, aumentando così il rischio che anche i carichi legati a Russia e Cina vengano colpiti. Secondo indiscrezioni di stampa, gli houthi si sarebbero accordati con la Russia (e con la Cina), scambiando la garanzia di un passaggio sicuro per le navi commerciali con il sostegno politico in Consiglio di sicurezza Onu. Un ipotetico accordo dopo il quale, tuttavia, Mosca ha continuato ad astenersi sulle risoluzioni riguardanti la crisi nel Mar Rosso, senza esercitare il diritto di veto.

Prospettive

Dopo il 7 ottobre, il movimento-milizia degli houthi è entrato in una fase nuova della sua evoluzione. Il gruppo yemenita sta rafforzando l’integrazione nel cosiddetto asse della resistenza guidato dall’Iran di cui rimane, tuttavia, la componente più autonoma. Senza il sostegno e le armi dell’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh gli houthi non avrebbero attuato con successo il colpo di stato del 2015; senza il sostegno, le armi e l’addestramento dell’Iran e di Hezbollah gli houthi non sarebbero riusciti a mantenere il controllo su metà del territorio yemenita dopo nove anni di guerra, spingendo l’Arabia Saudita alla trattativa.

Con l’apertura del fronte del Mar Rosso, gli houthi sono però andati al di là della galassia filo-Iran, facendo leva sull’opposizione a Israele e agli Stati Uniti per catalizzare visibilità e popolarità presso un pubblico antioccidentale più vasto. Un messaggio politico teso ad attrarre consensi oltre le divisioni religiose e settarie, sulle orme di Hezbollah dopo la guerra con Israele nel 2006. L’orizzonte strategico degli houthi non è dunque la subordinazione politico-militare a Teheran. Da parte del movimento-milizia, l’ostentazione dell’appartenenza all’asse si accompagna, infatti, alla definizione di nuove partnership e alleanze nel campo pro-Iran, con l’obiettivo di estendere il potenziale geografico, militare ed economico degli houthi, rinsaldandone l’autonomia. Inoltre, il rafforzamento dell’alleanza fra Iran e Russia potrebbe facilitare il sostegno bellico di Mosca agli houthi, anche in maniera indiretta via Teheran. La rete di nuove partnership e alleanze che gli houthi stanno tessendo, dentro e fuori il Medio Oriente, rappresenta dunque una variabile da monitorare, e può ulteriormente impattare sull’instabilità regionale.

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