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Pakistan, nominato il nuovo governo

In Pakistan è stato nominato il nuovo governo. Il punto di Guido Bolaffi

Il Pakistan dallo scorso lunedì 4 marzo ha finalmente un governo, che, seppur fragilissimo, ha se non altro il merito di mettere un punto fermo al marasma politico-istituzionale scatenatosi dopo le contestatissime elezioni dell’8 febbraio e che rischiava di spingere il paese verso l’abisso.

Tanto è vero che il quotidiano The Wire, dando conto del fosco quadro politico di un paese in cui tutti erano in guerra contro tutti, nell’editoriale Pakistan Elections: In the Face of a Hegemonic Establishment, People Have Shown the Way, scriveva allarmato: “Today’s situation shares a worrying parallel with the period that led to East Pakistan’s secession, given the resentment in Balochistan and Khyber Pakhtunkhwa against the establishment for exploiting their resources”.

Un rischio tanto più serio perché al risentimento del Balochistan e del Khyber Pakhtunkhwa (la regione un tempo denominata del Nord Ovest) poteva sommarsi anche quello del Punjab. Un territorio opulentissimo e da sempre il più filogovernativo.

Di questa pericolosa novità aveva dato conto la corrispondente del New York Times, Christina Goldbaum, che, nel pezzo It Was Once Pakistan’s Military Stronghold. Now Even It has Had Enough, spiegava: “The elite in Lahore, an affluent metropolis, have long maintained strong ties to the upper echelons of military establishment. But now, as the country heads into an election tainted by military meddling, that once loyal base of support has eroded”.

Nessuno è in grado di sapere se e come l’Esecutivo oggi affidato a Shehbaz Sharif sarà in grado di risollevare le sorti del Pakistan, che – cosa da tenere sempre a mente – è la seconda più popolosa nazione musulmana del Pianeta e la quinta nella classifica demografica mondiale.

Un paese da anni in preda ad una crisi economica senza precedenti e vieppiù stremato dalla litigiosa inettitudine delle sue classi dirigenti. Con l’aggravante che il sorprendente esito delle ultime elezioni sembra aver financo privato della risorsa politica di ultima istanza, da sempre rappresentata dalla potente casta militare.

Infatti, scriveva Adil Najam, docente di affari internazionali all’Università di Boston: “Civil-military relations in Pakistan - including relations between the military and society - will not be, cannot be, the same as they had been [...] What they will become is what is on the minds of every political player in Pakistan and has to be topmost on the minds of the top brass of Pakistan's military, too”.

La situazione del Pakistan inquieta la comunità internazionale. A partire dagli Stati Uniti. Tanto è vero che, pochi giorni addietro, Washington, mettendo fine a mesi e mesi di silenziosa ma gelida inimicizia dopo le infelici parole con cui l’ex Premier pakistano Imran Khan aveva commentato il precipitoso ritiro americano dall’Afghanistan, ha deciso di inviare un segnale di chiaro incoraggiamento al nuovo governo di Islamabad.

Una mossa affidata al portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller che, stando a quanto riportato dal quotidiano pakistano Dawn, rispondendo alla domanda di un giornalista statunitense, avrebbe affermato: “I’Il just say with respect to the IMF that we support Pakistan’s efforts to break free from vicious cycle of debt and international financing”.

In India, invece, al silenzioso riserbo delle autorità di Delhi sul nuovo esecutivo di Shehbaz Sharif hanno fatto da contraltare le contrastanti opinioni di alcuni tra i più accreditati conoscitori indiani dei secreta arcana della politica pakistana.

Infatti, il deciso pessimismo di C. Raja Mohan, “Bilateral engagement is high-cost and low-reward exercise [and] improving bilateral relations is not an urgent priority for India or Pakistan”, è stato per così dire ammorbidito dal cauto possibilismo espresso da due former High-Commissioners in Pakistan, Sharat Sabharwal e T.C.A. Raghavan.

Il primo, preso atto che “Large segments of industry and traders in Pakistan have been calling for restoration of bilateral trade with India” e che “the thinking of Army Chief Asim Munir on the India relationship is far from clear”, proponeva che “Should there be any constructive move by the incoming government we should respond positively”.

Il secondo, nell’articolo di Indian Express titolato With Shehbaz Sharif at his head a vulnerable new government forms in Pakistan, sosteneva che: “In India expectations that a return of Nawaz Sharif would open up new possibilities for some normalisation with Pakistan will now have to be tempered. Nevertheless, even in the most unusual situations opportunities exist and arise unexpectedly, and good neighbourhood diplomacy also means being on the lookout for these”.

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