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Perché Giappone e Filippine aumentano la cooperazione militare

Tokyo e Manila rafforzano la cooperazione militare in funzione di deterrenza verso Pechino. L’analisi di Emanuele Rossi

Il Giappone e le Filippine hanno recentemente firmato un importante accordo di difesa per approfondire la cooperazione militare secondo le direttive di un Reciprocal Access Agreement (RAA). Se da un lato tale dinamica dimostra la volontà di rafforzare le capacità di deterrenza davanti all’aumento dell’assertività cinese, dall’altra anticipa una necessità che i partner statunitensi percepiscono: creare una maggiore collaborazione regionale per dimostrare a Washington buoni propositi. Chiunque sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca, gli Stati Uniti hanno individuato nella cooperazione con i partner la propria strategia, ma per renderla attuabile deve passare da una maggiore integrazione tra le attività dei partner stessi.

L’accordo tra Tokyo e Manila rientra perfettamente in tale schema, con significato pratico e politico-strategico. Si apre infatti all’accesso reciproco a postazioni militari, consentendo alle rispettive forze armate di addestrarsi e condurre esercitazioni nei rispettivi Paesi, in un momento di crescente preoccupazione per le attività della Cina intorno a Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale. Questo significa che in caso estremo (quello di un conflitto) i militari giapponesi e filippini potranno integrarsi più rapidamente e rispondere quindi con maggiore efficacia ed efficienza a un eventuale scenario di guerra. Si chiama in termine tecnico “interoperabilità”, ed è ciò a cui mirano molte delle esercitazioni congiunte internazionali; un aspetto su cui si basa l’attività della Nato per esempio, anche nelle partnership fuori area. Un fattore che manda anche un messaggio di carattere politico ai rivali come Cina e Russia – i quali tra l’altro cercano forme di cooperazione simile, per ora limitate dalla fiducia reciproca.

L’accordo nippo-filippino fa seguito agli avvertimenti di alti funzionari di Manila, secondo i quali l’escalation delle tensioni con Pechino sulla Second Thomas Shoal, una barriera corallina contesa nel Mar Cinese, potrebbe scatenare una guerra. Nell’ultimo episodio, a metà giugno, la Cina aveva dimostrato tutta la virulenza che sta diffondendo nelle attività nell’area, dove per altro conduce operazioni di law enforcement attraverso la Guardia costiera (in una di queste, a metà giugno, un marinaio filippino è rimasto lievemente ferito dopo che la sua imbarcazione era stata speronata da quella della polizia marittima cinese). Tutto ciò nonostante otto anni fa un tribunale arbitrale abbia stabilito che le vaste rivendicazioni marittime della Repubblica popolare cinese su quel bacino marittimo siano incompatibili con il diritto internazionale (come si evince dalla Convenzione sul diritto del mare del 1982). “Continuiamo a chiedere a Pechino di rispettare questa sentenza”, ha detto Antony Blinken il 12 luglio, anniversario della sentenza che impedirebbe a Pechino le proprie rivendicazioni.

L’accordo bilaterale nippo-filippino, firmato l’8 luglio, arriva dopo che gli Stati Uniti hanno ospitato ad aprile uno storico vertice trilaterale con il Giappone e le Filippine, che al momento sono i due più stretti alleati indo-pacifici di Washington. Le relazioni tra Manila e Tokyo si sono rafforzate in modo significativo sotto il presidente Ferdinand Marcos Jr e il primo ministro Kishida Fumio. La riunione ospitata alla Casa Bianca sfruttava questo avvicinamento – frutto di interessi pragmatici e visioni per il futuro – era il preludio per l’intesa sancita adesso, e dimostra come l’interesse per aumentare quella che potremmo definire “interoperabilità geopolitica” sia un fattore di primario interesse per la strategia statunitense.

Gilberto Teodoro, segretario alla Difesa delle Filippine, ha dichiarato che il patto con il Giappone “si aggiunge agli sforzi multilaterali che entrambi i nostri governi stanno facendo per assicurare che la nostra regione rispetti lo stato di diritto internazionale”. “Le Filippine e altri Paesi del Sud-est asiatico sono situati in una regione molto importante dal punto di vista strategico, in uno snodo chiave delle rotte marittime del Giappone. L’avanzamento della cooperazione e degli scambi in materia di difesa con le Filippine è importante per noi”, ha aggiunto Minoru Kihara, ministro della Difesa giapponese, che era a Manila dopo la firma dell’accordo. Anche la scelta del luogo in cui concludere l’intesa è stata piuttosto simbolica, perché la Cina sta esercitando contro le Filippine una pressione importante muovendosi nella zona grigia e trasformandola in una nazione sull’orlo di una guerra, cercando dunque di isolarla.

Ad aprile, Jose Manuel Romualdez, ambasciatore delle Filippine negli Stati Uniti, spiegava che Tokyo e Manila stavano discutendo anche di dispiegare le forze giapponesi nelle Filippine a rotazione, decisione che sarebbe ancora più forte e dimostrerebbe che Manila è tutt’altro che isolata – anche seguendo il rinnovo dell’accordo di mutua difesa con gli Stati Uniti. Per ora, Tokyo nega tale eventualità – che significherebbe posizionare le forze di autodifesa giapponesi al di fuori del proprio territorio, pronte per respingere un attacco cinese alle Filippine. Una scelta difficile da far digerire ai cittadini dell’Arcipelago, che stanno vivendo una nuova stagione per la strategia del Paese, molto diversa da quella vissuta negli ultimi settant’anni. Tuttavia, nonostante le limitazioni imposte dalla costituzione approvata nel dopoguerra, che i due Paesi possano condurre esercitazioni congiunte e usare le reciproche basi è un grande risultato.

Come accennato, l’accordo fa parte degli sforzi degli alleati statunitensi nella regione per costruire una rete di cooperazione per la sicurezza reciproca che non abbia gli Stati Uniti al centro. Il Giappone ha già firmato un patto simile con l’Australia e il Regno Unito. L’obiettivo è creare una sovranità strategica interregionale compartecipata, alleggerita del peso accentratore statunitense. È una necessità condivisa anche da Washington, che percepisce come il contenimento cinese sia più efficace e convincente agli occhi dei Paesi terzi dell’area se frutto di un afflato regionale.

Interessante a tal proposito quanto espone Rommel Jude Ong, professore presso l’Ateneo School of Government di Manila ed ex vicecomandante della marina militare filippina, che parlando al Financial Times spiega che l’RAA con il Giappone potrà anche integrare i patti alla base dell’alleanza del suo Paese con gli Stati Uniti, compreso il trattato di mutua difesa. “Da un punto di vista pratico – dice – mitigherà qualsiasi carenza o mancanza del nostro alleato statunitense, ad esempio la distrazione in Ucraina e in Medio Oriente”, aggiungendo di sperare “di fare un passo avanti verso un regime di sicurezza trilaterale più solido”. E dunque, dall’intesa passa anche un’ulteriore conferma di come le dinamiche di sicurezza della regione euro-mediterranea e quella indo-pacifica siano sotto diversi aspetti sempre più interconnesse.

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