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Perché Gibuti è strategico per la sicurezza nel Mar Rosso

Dalla tutela del commercio marittimo alla stabilità del Corno d’Africa: l’importanza delle installazioni militari presenti a Gibuti per la sicurezza marittima del Mediterraneo e dell’Europa.

Il Mar Rosso rappresenta uno dei principali snodi del commercio globale nonché un teatro di crescente importanza per la stabilità e la sicurezza internazionale. Godendo di una posizione geografica di ponte tra il Mediterraneo e l’Indo-Pacifico, l’area si configura anche come un anello di congiunzione tra paesi del Golfo, Corno d’Africa e attori del Global South. In questa regione, oltre al rischio posto dagli Houthi, si rilevano numerosi potenziali elementi di instabilità e disordine, tra i quali le crescenti tensioni tra l’Etiopia e i paesi rivieraschi di Eritrea e Somalia, la guerra civile in Sudan, gli scontri etnici nelle regioni etiopi dell’Amara e del Tigray, le aspirazioni secessioniste del Somaliland da Mogadiscio e le mai sopite minacce della pirateria e del terrorismo di matrice islamica, rispetto al quale spicca il gruppo di Al-Shabaab.

In tale scenario, Gibuti – paese di circa 23.000 km2, affacciato sullo stretto di Bab-el-Mandeb – costituisce il principale hub strategico del teatro in questione, dal quale operano alcune delle più importanti potenze mondiali per tutelare il proprio interesse nazionale. Con l’obiettivo di prevenire i rischi appena descritti, nell’ultimo ventennio numerosi attori – regionali e non – hanno infatti proceduto all’installazione di basi militari sul territorio gibutiano, nell’ottica di conseguire un duplice obiettivo: la protezione del commercio marittimo e la proiezione in loco di capacità di intervento rispetto a potenziali crisi e a scenari di instabilità che afferiscono ai teatri africano, mediorientale e dell’Oceano Indiano.

Si consideri, ad esempio, il caso di Stati Uniti e Cina. Per Washington, l’installazione a Gibuti rappresenta l’unica base permanente in tutto continente africano, mentre per Pechino si tratta della prima installazione militare all’estero della sua storia. La Casa Bianca ha ottenuto la sua base di Camp Lemmonier nel 2001, a seguito degli attentati alle ambasciate in Kenya e Tanzania nel 1998 e, soprattutto, agli eventi dell’11 settembre. Nonostante il recente riorientamento strategico verso l’Indo-Pacifico e la diminuzione della presenza statunitense in Africa, la base a Gibuti continua a svolgere un ruolo cruciale sia nell’ottica di operazioni antiterrorismo sia come hub dal quale condurre operazioni antipirateria nel mare antistante. Pechino, invece, ha proceduto alla creazione della sua base nel 2017 con l’obiettivo di proteggere i crescenti interessi commerciali ed estendere la propria influenza nel continente africano. Da notare, infatti, come la rete infrastrutturale marittima facente parte del più ampio progetto della Belt and Road Initiative guardi al Mar Rosso e al Corno d’Africa come due elementi centrali. A questo si aggiunge il tentativo cinese di accrescere i propri legami politici, diplomatici ed economici con i player della regione, in modo da influenzarne l’agenda estera.

Ma il “Celeste Impero” non è l’unico attore asiatico presente in loco. Il Giappone, infatti, ha inaugurato la sua base militare a Gibuti nel 2011. Anche per Tokyo si tratta della prima installazione permanente estera dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Se in origine gli obiettivi cardine giapponesi erano garantire la libertà di navigazione e la sicurezza delle linee di comunicazione marittime e di estendere la sua influenza in Medio Oriente e in Africa, ad oggi la base è funzionale anche a bilanciare la presenza cinese a Gibuti e, in generale, nel quadrante Mar Rosso-Golfo-Corno d’Africa.

Per quel che concerne le potenze regionali, l’ultimo attore in linea temporale intenzionato a creare una base militare nel paese è stata l’Arabia Saudita, la cui attività a Gibuti – in via di definizione – si configurerebbe come ulteriore elemento utile per contrastare le attività terroristiche degli Houthi, che minacciano gli interessi del regno sia dal punto di vista commerciale sia rispetto ai copiosi investimenti presenti nella costa occidentale saudita. In tale contesto, si innestano inoltre le crescenti mire nella regione di attori come Turchia, Emirati Arabi Uniti e Federazione Russa, i quali per il momento non possiedono basi militari nel territorio gibutiano. In relazione alla Sublime Porta, assumono rilevanza gli accordi siglati tra Ankara e Gibuti nel febbraio 2024 – espressione concreta della Stratejik Derinlik cui la Turchia sta cercando di espandere la sua influenza in tutti i teatri vicini – relativi all’addestramento militare e alla cooperazione finanziaria e umanitaria. Abu Dhabi, invece, pur investendo notevoli risorse in progetti di sviluppo ed infrastrutture, compresi porti e zone economiche speciali, ha preferito installare basi militari in Somalia, Yemen ed Eritrea. Più defilata, invece, la posizione di Mosca, la quale sembra orientata a rafforzare la sua presenza marittima lungo la costa del Sudan.

In relazione alle potenze europee, solo la Francia e l’Italia hanno basi permanenti a Gibuti. La presenza di Parigi ha ragioni storiche. Nel 1977 il paese africano ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia e ha con essa sottoscritto un trattato di mutua difesa nel 2011, in base al quale le Forces Françaises Stationnées à Djibouti (FFDj) sono dislocate in vari siti strategici, tra cui l’aeroporto internazionale di Gibuti-Ambouli, quello militare di Chabelley e la base navale di Héron. Scopo principale è la difesa del territorio gibutiano e del suo spazio aereo, ma anche la tutela degli interessi francesi nella regione. Da notare che quello di Parigi è il contingente europeo più numeroso (circa 1500 unità) e che all’interno delle sue basi sono dislocate anche truppe spagnole e tedesche.

Roma è, invece, presente nel paese in modo autonomo con la base militare di supporto (BMIS) “Amedeo Guillet”, costruita nel 2012 grazie all’accordo di cooperazione bilaterale Italia-Gibuti. L’installazione, di carattere interforze, facilita la conduzione di operazioni militari nell’area circostante, con particolare attenzione alle attività antipirateria nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano, volte a tutelare il commercio marittimo passante per lo stretto di Bab-el-Mandeb. Al contempo, la base Guillet si configura come postazione di partenza per le attività di stabilizzazione dei paesi del Corno d’Africa, Somalia in primis. Per citare i due più recenti impieghi, la base è stata utilizzata per favorire l’esfiltrazione dei connazionali presenti in Sudan, all’indomani dello scoppio della guerra civile nel 2023, e per coadiuvare la conduzione della missione multilaterale EUNAVFOR “Aspides” per la protezione degli asset marittimi dagli attacchi degli Houthi yemeniti.

In definitiva, anche l’ingente presenza militare nel paese conferma come il territorio gibutiano (e l’area circostante) costituisca un punto nevralgico ai fini non solo della sicurezza regionale ma anche del confronto internazionale tra potenze e più in generale, un approdo strategico per il continente africano e la regione indo-mediterranea.

Per l’Italia, data la sempre maggiore attenzione per l’Oceano Indiano e il teatro del Pacifico e, soprattutto, data la vitale rilevanza dell’Africa nella concettualizzazione strategica di Roma, Gibuti rappresenta infine un asset fondamentale per la politica estera e di difesa, del presente e del futuro.

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