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Perché il dominio sottomarino è sempre più importante

Dall’energia ai dati IT, passando per le risorse del sottosuolo marino. Il dominio sottomarino è sempre più centrale per la sicurezza nazionale ed europea. Il punto di Emanuele Rossi

Poche settimane fa, la Cina ha annunciato di aver sviluppato un dispositivo in grado di tagliare cavi sottomarini a profondità fino a 4.000 metri, utilizzabile con veicoli avanzati, con o senza equipaggio. Ufficialmente destinato ad attività civili come l’estrazione mineraria, il dispositivo è di fatto dual-use e può compromettere la rete globale di trasmissione dati. Si tratta della prima ammissione pubblica da parte di uno Stato di possedere una tale capacità, finora relegata alle zone grigie della guerra ibrida.

È un chiaro messaggio strategico, che si inserisce in un più ampio rafforzamento della proiezione sottomarina cinese. Di recente è iniziata nel Mar Cinese Meridionale la costruzione di una “deep-sea space station”, ossia base abitabile a 2.000 metri di profondità, pensata per ospitare sei persone per periodi prolungati. Con iniziative come questa, abbinate all’evoluzione monstre della sua flotta – militare e civile, o dual use – Pechino si conferma tra gli attori che mirano a controllare in modo strategico l’intero dominio marittimo, dai fondali alla superficie.

Se è vero che l’attività cinese ha un impatto diretto soprattutto in Asia, la dimensione della Repubblica Popolare è da tempo globale e l’Europa non può sentirsi immune dalle attività dei competitor. Emblematica la vicenda che coinvolge la nave cinese Yi Peng 3, finita sotto indagine per il presunto sabotaggio di cavi sottomarini nel Mar Baltico, danneggiati tra il 17 e il 18 novembre 2024. Le autorità sospettano che quei cavi siano stati tranciati deliberatamente, forse trascinando un’ancora sul fondale (causa anche della maggior parte degli incidenti che intaccano tali infrastrutture).

L’episodio ha acceso l’attenzione sulla possibile connessione tra attori statali, perché al pari della Cina c’è una Russia sempre più attiva nel dominio marittimo. Il fatto che la Yi Peng 3 provenisse da un porto russo ha sollevato dubbi su un coordinamento tra Mosca e Pechino – che si inserirebbe in un contesto di tensioni globali e attività ibride contro l’Europa che è in atto da tempo. Attività che vedono nel danneggiamento delle infrastrutture un obiettivo primario, soprattutto quando si tratta di quelle marittime underwater – un dominio, questo, che acquisisce rilevanza per tali azioni perché si presta ad attività in “zone grigie”, con effetti di alto valore.

Le difficoltà incontrate dalle autorità europee per ottenere accesso e condurre ispezioni sulla Yi Peng hanno evidenziato poi la fragilità dei meccanismi internazionali di verifica. Anche se Pechino ha respinto ogni responsabilità e offerto collaborazione, l’ipotesi di un incidente appare sempre meno plausibile, lasciando aperti vari interrogativi.

Tra questi, una delle grandi problematiche riguardo alla protezione di certe infrastrutture è l’intersezione tra norme nazionali e internazionali, che lascia margini di ambiguità, rispetto alla quale l’ipotesi dell’incidente può offrire una copertura plausibile e ostacolare una chiara attribuzione delle responsabilità. È per tale ragione che si sta diffondendo l’idea di un approccio più olistico, che non riguardi soltanto la protezione dei cavi in sé, ma del cosiddetto maritime environment.

La sicurezza delle infrastrutture e più in ampio dell’ambiente marittimo sta rapidamente diventando uno dei temi multidimensionali nelle agende dei pianificatori strategici. Anche perché, nell’ampia regione che circonda l’Europa – dal Baltico al Corno d’Africa – attività dirette, ibride o accidentali sono sempre più frequenti, unite alle disruptions dei traffici di superficie come quelle legate agli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso o alla ripresa della pirateria nell’Oceano Indiano occidentale e nel Golfo di Guinea.

Nel mondo interconnesso del XXI secolo, il “sistema-mare” è l’impalcatura fisica e tecnologica che sorregge la sovranità digitale, l’autonomia industriale, la resilienza economica e, in definitiva, la libertà geopolitica. Le infrastrutture invisibili che garantiscono la connettività globale – cavi per internet e dati, gasdotti, condotte, reti elettriche offshore – sono sempre più esposte a minacce ibride e rientrano ormai in pieno nei piani di guerra cognitiva e geoeconomica con cui le potenze revisioniste cercano di destabilizzare l’ordine internazionale basato sulle regole. Contemporaneamente i porti sono ambiti di penetrazione strategica, espressa attraverso il controllo degli scali e degli impianti, ma anche con campagne di interferenza (per esempio, lo scalo strategico di Trieste è finito sotto attacco cyber da parte di un gruppo filo-russo non più tardi di due mesi fa). Ed è l’intero sistema costiero a rimanere cruciale (e forse lo è in misura crescente) per la sicurezza nazionale, la prosperità economica dei Paesi marittimi e per la resilienza delle catene di approvvigionamento.

Le guerre del futuro si stanno già combattendo in alto mare e sott’acqua. L’atto di sabotaggio ai gasdotti Nord Stream nel Baltico, l’interruzione delle comunicazioni fra Svezia e Estonia nel 2023 (a causa di un cavo elettrico spezzato), i continui incidenti “non attribuiti” nel Mar Nero dopo l’invasione su larga scala russa dell’Ucraina, gli incidenti che riguardano navi da trasporto e petroliere anche nel Mediterraneo: tutti segnali recenti di un ambiente operativo sempre più instabile, dove le responsabilità sono opache e le reazioni vincolate dalla deterrenza ambigua. In questo contesto, il rafforzamento delle capacità di sorveglianza marittima sta diventando una prerogativa dei pianificatori politici.

L’Italia in questo segna evoluzioni, sia a livello di gestione delle infrastrutture superficiali che di capacità di situation awarness riguardo a quelle subacquee. Due esempi italiani sopra e sotto la superficie. A breve sarà varata una riforma per la governance dei porti che contribuirà alla sicurezza sia dal punto di vista infrastrutturale che economico e operativo, permettendo una pianificazione più efficace per gli scali. E inoltre, lo scorso anno è stato istituito il Polo Nazionale della Dimensione Subacquea, con l’obiettivo di riunire tutti gli attori del cluster marittimo – civili e militari – per promuovere ricerca, sviluppo e sperimentazione tecnologica nel settore dell’underwater. Soluzioni per rafforzare l’approccio nazionale alla sicurezza del dominio marittimo.

D’altronde, come ricordato dal Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Enrico Credendino, la superficie terrestre è ricoperta per il 70% dal mare: “Questo vuol dire in maniera molto semplice, quasi banale, che il 70% di quello che ci serve per vivere è sott’acqua […] Sotto la superficie del mare c’è la nostra vita, c’è sempre più il nostro futuro. Ci sono elementi essenziali per la nostra economia e per la nostra sopravvivenza. Si stima che nel prossimo secolo il 40% del cibo che mangeremo, proverrà dal fondo marino. Ma poi ci sono il petrolio, gas, minerali, le terre rare”.

Proteggere le infrastrutture presenti e creare capacità di poterne costruire di nuove diventa, quindi, priorità essenziale per la sicurezza collettiva europea e nazionale dei singoli membri.

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