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Perché il dossier Iran sul tavolo di Trump ha un peso internazionale

Dal dossier nucleare al tema delle milizie proxy: come le scelte di Teheran, e il confronto con Washington, potrebbero condizionare il futuro del Medio Oriente. L’analisi di Daniele Ruvinetti

Nonostante le molte crisi che affollano l’agenda globale, l’Iran è destinato a essere la principale questione geopolitica nel 2025. Secondo un alto diplomatico che ha partecipato a una riunione virtuale del G7 due settimane fa, riportato da Axios, l’incontro si è concluso con la consapevolezza unanime che la Repubblica Islamica rappresenterà la sfida prioritaria nei prossimi mesi.

“Tutti hanno concordato che dovremo fare qualcosa, altrimenti ci sarà una crisi enorme”, ha riferito il diplomatico. Questo non solo perché il tempo necessario all’Iran per raggiungere la capacità di costruire un’arma nucleare si è ridotto a pochi giorni, ma anche perché in ottobre scadrà la possibilità per le potenze occidentali di reintrodurre automaticamente sanzioni nucleari stringenti nell’ambito dell’accordo del 2015. Questo significa che gli Stati Uniti e i loro alleati europei perderanno gran parte della loro leva economica su Teheran, aumentando l’urgenza di azioni diplomatiche nei primi mesi dell’anno.

La strategia iraniana e la proiezione di influenza

L’Iran rappresenta una delle maggiori sfide geopolitiche per la stabilità del Medio Oriente e per la sicurezza internazionale. La sua strategia è articolata su una combinazione di strumenti convenzionali e asimmetrici, che mirano a proiettare potere e a influenzare gli equilibri regionali a proprio vantaggio. E a questo si abbina l’allineamento strategico con Russia e Cina.

L’Iran ha, infatti, costruito una rete di alleanze e proxy che gli consentono di esercitare una pressione costante sui suoi avversari regionali. Tuttavia, la sua capacità di proiezione è stata progressivamente ridimensionata. L’indebolimento di Hezbollah, il logoramento del regime di Assad e le difficoltà delle milizie Houthi nello Yemen hanno limitato la portata della sua influenza.

Parallelamente, il paese affronta una crisi economica e sociale interna che ne mina la stabilità. L’inflazione elevata e la carenza di investimenti nel settore energetico evidenziano il paradosso di una nazione ricca di risorse ma incapace di soddisfare le necessità della propria popolazione. Questa vulnerabilità interna impatta anche la politica estera iraniana, costringendo Teheran a bilanciare tra espansione geopolitica e gestione delle tensioni interne.

Il regime iraniano si trova oggi davanti a un bivio e deve scegliere tra quattro possibili strategie. Innanzitutto, rafforzare l’Asse della Resistenza, consolidando le proprie alleanze regionali. Tuttavia, questa strada è onerosa e resa più complessa dal deterioramento dei suoi alleati tradizionali. L’altra opzione è accelerare il programma nucleare, con il rischio di una risposta militare severa da parte di Israele e Stati Uniti, che potrebbe compromettere la sicurezza dell’intero Medio Oriente. Contemporaneamente, c’è la possibilità di avviare negoziati sul programma nucleare per ottenere un allentamento delle sanzioni, stabilizzando la propria economia e guadagnando tempo sul piano strategico. Infine, ed è lo scenario più probabile, l’adozione di una strategia ambigua, portando avanti negoziati superficiali mentre il programma nucleare avanza segretamente. Questa linea rischia però di essere percepita come un inganno e di inasprire le tensioni con l’Occidente.

È pacifico che in questi anni che hanno seguito l’uscita unilaterale statunitense dal JCPOA – voluta da Donald Trump nel 2018 – l’Iran abbia continuato ad avanzare nel proprio programma nucleare, adottando un approccio tattico dilatorio nei negoziati, mentre sviluppa capacità sempre più sofisticate. Recentemente, Teheran ha anche condotto esercitazioni di difesa aerea nei pressi dei suoi siti nucleari più sensibili, come l’impianto sotterraneo di Fordow e il reattore ad acqua pesante di Khondab.

Se difende, è perché ha qualcosa da difendere. L’impiego di batterie missilistiche, radar avanzati e capacità di guerra elettronica indica una crescente preoccupazione per possibili attacchi aerei o missilistici da parte di Stati Uniti e Israele.

Washington, pressato dall’alleato israeliano, deve decidere se affrontare la questione iraniana con un approccio più rigido o se privilegiare il dialogo. La nuova presidenza Trump potrebbe aprire a scenari complessi, non del tutto prevedibili. D’altronde l’imprevedibilità è un fattore caratterizzante per il repubblicano, come lo è la sua visione transazionale delle relazioni, sulla base della quale numerosi scenari estremi diventano possibili – sebbene l’Iran rappresenti una red line piuttosto netta anche per Trump.

La competizione con la Cina ha spostato la priorità strategica americana verso l’Indo-Pacifico, ma la stabilità del Medio Oriente rimane un fattore critico per gli equilibri globali. Qualsiasi decisione riguardante l’Iran avrà un impatto su dinamiche geopolitiche più ampie, influenzando gli assetti di sicurezza internazionali.

L’Iran rimane infatti un attore centrale negli equilibri mediorientali. Tuttavia, le sue vulnerabilità interne e le sfide esterne stanno ridimensionando le sue ambizioni. Comprendere la vera natura della minaccia iraniana significa adottare un approccio che non si fermi alla contingenza degli eventi, ma analizzi i segnali di una strategia più ampia e complessa.

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