Prospettive della sicurezza europea e deterrenza nucleare
I cambiamenti di scenario della politica internazionale stanno spingendo verso nuove prospettive per la sicurezza in Europa. Il tema della deterrenza nucleare è oggi quanto meno attuale. L’analisi di Francesco Mattarella

Si può immaginare un mondo senza guerre né armi? Certo, nella Civitate dei di Sant’Agostino. Ma il pianeta Terra è situato nella Civitate homini ove c’è il male che coesiste con il bene all’interno della natura umana. Non è scopo di chi scrive la pronuncia di giudizi subiettivi di ordine morale sulle singole persone per le quali si rimanda “ai posteri”, oltre che ai tribunali, “l’ardua sentenza” ritenendo invece sufficiente la constatazione oggettiva di infrazioni, definibili con il termine “male”, del Diritto Internazionale.
Il bene deve fronteggiare il male facendogli del male o preferibilmente minacciando di farlo.
Il verbo “minacciare”, non seguito da “agire” introduce al tema della deterrenza, precipuamente della deterrenza nucleare.
Ma l’Europa è come un ragazzo (anzi, visto l’invecchiamento della sua popolazione, un signore di mezza età) di buona famiglia, educato e colto, cresciuto nella serenità e nel benessere mentre gli altri ragazzi, di nome Asia e Africa, hanno vissuto in strada e sono abituati a fare a botte. Noi europei abbiamo perso da generazioni l’abitudine a combattere ma dobbiamo ricominciare a farlo. Questo è anche perché un altro ragazzo, di nome USA, ricco e benestante ma anche grande e grosso, non è più protettivo verso il signore europeo e gli ha già comunicato che non ha tanta voglia di continuare a difenderlo.
Aggiungiamo che questo giovin signore ha trascurato il rapporto con aree geografiche, situate principalmente in Africa, ove si estraggono le materie prime e così facendo ha lasciato ampi spazi di manovra agli esuberanti ragazzi Cina, Russia e India.
Il risultato di tale ignavia europea è il ruolo di Lepido, oscuro triumviro della Roma repubblicana del quale, nella contesa tre Ottaviano e Antonio come tra i novelli triumviri USA e BRICS, nei libri di storia rimane poco più che il nome.
Per aver la pace, bisogna dichiarare guerra alla guerra.
Negli ultimi giorni i Governi d’Europa si sono divisi circa l’opportunità della formazione di una coalizione di “volenterosi” che inviino all’Ucraina truppe armate oltre ai rifornimenti militari. Ma la “volontà” non è sufficiente se è vero che persino i coraggiosi Mille di Garibaldi non partirono da Quarto prima di ricevere adeguate risorse e forniture di armi.
Quanto suddetto vale soprattutto per la deterrenza atomica.
Peraltro il contesto internazionale è mutato poiché la Russia ha dimostrato, al punto da innescare aggressività verso i Paesi vicini, di non essere una Potenza in declino.
La politica di confronto e dialogo, con gli interlocutori dello scenario mediterraneo nonché continentale, è stata resa possibile poiché accompagnata dalla citata deterrenza, la quale induceva tali soggetti a una condotta volta all’iniziativa diplomatica in luogo di quella militare.
Adesso il progressivo allontanamento degli Stati Uniti dalle vicende europee sta per generare un vulnus nella forza deterrente della condivisione nucleare.
Nelle ultime settimane, qualche commentatore ha ritenuto di applicare al vecchio continente la teoria, della cultura Dakota, del “cavallo morto” che si verifica quando il cavaliere si ostina a non riconoscere il decesso dell’animale
È nostro parere che il cavallo Europa non sia morto ma tuttavia non sia posto nelle condizioni di esprimere la propria bravura.
La condivisione nucleare, con la detenzione di armi provenienti dagli Stati Uniti, ha permesso alle nazioni europee il mantenimento dei propri confini. Ora che il fornitore USA si sta disimpegnando dalla politica europea, è indispensabile la distribuzione delle testate nucleari della Francia e del Regno Unito. Il governo di Londra ha peraltro già da decenni inserito il proprio arsenale atomico in una generale integrazione a livello NATO.
Ritornando all’idea dei Dakota, l’errore degli europei non è l’accanimento terapeutico sul cavallo comune ma semmai il contrario ovvero non riconoscerne il valore mentre si volge singolarmente l’attenzione a ciascuno dei ventisette cavalli che lo compongono.
Così avvenne nel 1956 quando Anthony Eden e Christian Pineau, alla conduzione dei cavalli Regno Unito e Francia, pensarono di poter da soli attaccare l’ambizioso cavallo Egitto nel Canale di Suez.
La dissociazione da parte americana rese tale azione vana.
È utile un accenno alla crisi di Suez poiché questa determinò due situazioni non dissimili da quanto sta accadendo attualmente: una frattura in seno alla Nato tra alcuni Paesi europei e gli Stati Uniti nonché il conseguente dialogo, prescindente dall’Europa, tra questi ultimi e l’Unione Sovietica.
Adesso, la suindicata frattura tra Europa e America prefigura tempi di ricomposizione molto più lunghi rispetto al 1956 e la relazione tra Stati Uniti e Russia non sembra più caratterizzata dall’equilibrio della paura bensì da uno squilibrio da paura tra questi attori e la frammentata Europa.
Il disimpegno da parte americana si sta realizzando con il ritiro di aiuti finanziari e militari che finora ha riguardato la sola Ucraina ma di cui è stato già programmato l’allargamento agli altri alleati NATO fino ad un ipotizzato abbandono dell’Alleanza.
L’Europa è quindi chiamata alla dotazione di proprie munizioni e le armi dotate di maggior potere intimidatrice sono, allo stato attuale della ricerca scientifica, le bombe atomiche.
La millenaria evoluzione della tecnologia militare dimostra come alla sempre maggior efficacia degli armamenti abbia corrisposto un sempre maggior timore dell’efficacia degli armamenti altrui: Atene e Sparta si affrontavano con le spade e pertanto neppur immaginavano il concetto di mutua distruzione che invece è stato ben presente riguardo agli arsenali nucleari della NATO e del Patto di Varsavia.
Per quanto suddetto le armi sono divenute progressivamente più pericolose e proprio per questo meno usate: questo si chiama deterrenza.
Gli Stati Uniti iniziarono a progettare gli ordigni atomici per il timore che li costruisse per primo il Terzo Reich e si diede così avvio al Progetto Manhattan i cui esperimenti avvennero nel deserto di Los Alamos e in verità non diedero l’idea del potenziale distruttivo sulla vita umana.
Questo si sarebbe poi palesato a Hiroshima e a Nagasaki tanto da indurre il capitano Lewis, copilota dell’Enola Gay, a scrivere sul diario di bordo una frase che sarebbe divenuta celebre: “Mio Dio, che cosa abbiamo fatto?”.
La risposta a detta domanda può essere desunta dai numeri. Al capitano diremmo che avevano fatto qualcosa di orribile, ma che sarebbe stato ancor più orribile non farlo.
Il bilancio dei bombardamenti fu tremendo; ma può apparire minore se paragonato alle eventuali conseguenze di un’invasione di terra del Giappone il cui intero popolo era pronto a difendere il sovrano fino al sacrificio estremo. L’idea di resa non era, infatti, ipotizzabile in un popolo che riteneva che al vertice del proprio Paese vi fosse un’entità metafisica poiché discendente dal Dio Tenno: avrebbero preferito essere sterminati come dimostrano i numerosi suicidi di alti ufficiali che preferirono il seppuku alla consegna al nemico.
La natura divina dell’Imperatore faceva in modo che, mentre in Europa i sovrani governavano “per Grazia di Dio”, in Giappone con Lui si identificavano e per Lui un intero popolo era pronto alla morte.
Il passaggio, dalla minaccia nucleare al suo effettivo uso, ha generato la paura atomica durante la guerra fredda.
I vertici bilaterali tra USA e URSS venivano condotti nel reciproco rispetto che della paura è conseguenza.
La paura, diffusa in Italia negli anni ’50, dei cosacchi che “abbeverano i cavalli a Piazza San Pietro” era pura retorica. Ma perché era soltanto retorica? Perché i cosacchi, quando pure avessero avuto simili intenzioni, ne sarebbero stati scoraggiati dagli arsenali nucleari la cui forza distruttrice era maggiore di quella dei loro cavalli. Adesso, con mezzi ben più efficaci di quello equino, non trattasi più di fantasia perché i nipoti dei cosacchi sono ben armati a hanno coltivato per decenni l’arte della guerra mentre l’Europa ha vissuto in serenità.
Sia sufficiente riflettere sul riarmo della Cina che nel 2024 ha aumentato il numero delle proprie testate da 500 a 600 con un previsto arrivo a quota 1.000 entro il 2030.
Le armi atomiche, per il principio “si vis pacem para bellum” hanno evitato la guerra in Europa per 80 anni; invece, in Africa, con armi rudimentali, si combatte su gran parte del continente.
E proprio in Africa avviene una spartizione, come nell’800 tra le potenze europee, con protagonisti che si chiamano Cina, Russia e Turchia.
L’attuale congiuntura storica comporta altresì il superamento del dibattito basato su una contrapposizione tra le spese civili e le spese militari. Alla domanda, se sia preferibile costruire un missile oppure un ospedale, riteniamo di rispondere che il missile è utile per proteggere l’ospedale.
Può rattristare la constatazione che, tra i Paesi dichiaratamente possessori di armi atomiche, ci siano i cinque membri permanenti dell’ONU, organizzazione di pace. Ma la tristezza può scomparire osservando che questi terrificanti ordigni non sono stati utilizzati dopo il 1945.
Ai suindicati possessori si aggiungono i Paesi di condivisione nucleare, ovvero detentori di bombe atomiche, pur se costruite da altri, nel contesto di un’azione condivisa in tema di politica nucleare.
Nela NATO questi Paesi, a mezzo di accordi bilaterali con gli Stati Uniti, sono stati sino ad ora Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia.
I menzionati accordi hanno ottemperato a un’esigenza di difesa di questi Stati che, in virtù del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, rischiavano di restare privi dell’arma più efficace.
Ma adesso si rischia di perdere gli USA quali fornitori e si sta pensando a una loro sostituzione con una condivisione delle testate di Francia e Regno Unito.
Il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, pur se mosso da nobili intenti, ha comportato dei pericolosi corollari nella successiva denuclearizzazione di Repubbliche quali Ucraina, Bielorussia e Kazakistan. Queste, depositarie di armamenti atomici quando erano parti dell’Unione Sovietica, furono indotte alla cessione del medesimo alla Russia con l’unica contropartita della promessa del mantenimento dell’integrità territoriale ucraina. A ben vedere, non fu un atto di non proliferazione bensì un mero trasferimento di nucleare la cui quantità totale rimaneva intatta ma veniva semplicemente traslata ad una sola tra le parti contraenti.
Un’analisi dell’argomento non può prescindere dalla constatazione di realtà come Israele, uno Stato che sin dal giorno della propria nascita ha subito aggressioni militari alle quali non sarebbe sopravvissuto senza la minaccia nucleare per i nemici. Molti osservatori si sono domandati perché lo scorso autunno l’Iran, pur se attaccato da Tel Aviv, ha risposto in maniera poco più che simbolica. A nostro parere, Teheran ha tenuto una condotta prudente perché la bomba atomica impaurisce e senza questa paura il conflitto si sarebbe esteso all’intero Medio Oriente in poche settimane.
Detta estensione sarebbe stata analoga a quella avvenuta nel 1914 nel quale le Potenze europee vicendevolmente si temevano ma, disponendo solo di armi convenzionali, il timore non era tale da far del tutto desistere dall’azione bellica. L’idea di blitzkrieg del Kaiser Guglielmo è ormai sostituita dalla paura di una guerra di certo veloce ma con mutuo annientamento.
Persino il Giappone, secondo quanto dichiarato dal suo Primo Ministro che ad ottobre 2024 ha proposto una condivisione nucleare con gli USA, appare orientarsi in tal senso
Nel frattempo, il legame tra Mosca e Pechino si rafforza al punto che lo scorso 21 gennaio Putin e Xi hanno dichiarato che la loro alleanza “toccherà nuove vette”.
Anche l’Iran si avvicina all’arma nucleare. Secondo fonti di intelligence, il tempo di fabbricazione di una bomba si è ridotto per Teheran a pochi giorni.
Per quanto concerne l’Africa, nel 1996 fu firmato il Trattato di Pelindaba. per un continente “libero da armi nucleari”. Il risultato di siffatta “libertà” è un continente privo della species “armi nucleari” ma non del genus “armi” che, essendo convenzionali e meno distruttive, sono per ciò stesso utilizzate con frequenza in un continente in cui circa la metà dei Paesi si trova in guerra.
Il Sudafrica è l’unico caso di potenza nucleare che ha volontariamente smantellato il proprio arsenale ma questo non gli impedisce di far parte dei BRICS insieme a regimi autoritari e aggressivi.
Si consideri altresì che i Paesi BRICS non soltanto sono forniti di armi nucleari ma financo conseguono alleanze in nazioni ricche di materie prime per costruirne in maggior quantità e di tecnologia ancor più sofisticata.
Ci limitiamo a citare la recente concessione alla Russia, da parte del Governo del Sudan, di una base navale vicino Port Sudan sul Mar Rosso. Si tratta di un Paese ricco di uranio e di altre terre rare atte a devastanti fini bellici.
Il Vecchio Continente dispone di 290 testate nucleari della Francia e 215 del Regno Unito. Il totale di 505 appare irrisorio al confronto delle 5.580 della sola Russia tralasciando le 500 cinesi, le 172 indiane e le 50 nordcoreane.
Esprimiamo dunque l’auspicio che l’Europa intera si doti presto di un’adeguata difesa e che questo articolo non debba, come le profezie di Cassandra, essere superato dagli eventi.