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Quanto resta nel mondo dell’incontro tra Xi e Putin

Putin riceve Xi Jinping a Mosca. Cosa resta dell'amicizia "senza limiti" tra Russia e Cina? L'analisi di Emanuele Rossi

In un'intervista con l'analista geopolitico Bruno Maçães, Zhou Bo, colonnello in pensione dell'Esercito popolare di liberazione e senior fellow del Centro per la sicurezza e la strategia internazionale dell'Università Tsinghua di Pechino, ha offerto una nuova espressione per inquadrare il momento storico che vivono le relazioni internazionali di Pechino – e dunque gli affari globali. “Stiamo parlando della Global China”, ha detto Zhou nell’articolo uscito sul Time, prendendo in prestito il linguaggio della Gran Bretagna post-Brexit. “Quando [l'ex primo ministro britannico] Boris Johnson ha parlato di Global Britain, probabilmente era più retorico. Ma la Cina globale è decisamente reale. La Cina è onnipresente. L'influenza della Cina è ovunque".

L'anno scorso, il leader cinese Xi Jinping ha lanciato la Global Security Initiative, una visione parallela per andare oltre all’ordine mondiale guidato dall'Occidente. Parte di questa narrazione strategica è stata rafforzata nell’incontro moscovita con Vladimir Putin, ma anche attraverso altri documenti concettuali come la Global Development Initiative o la Global Civilization Initiative – o più nello specifico nel “position paper” sulla guerra in Ucraina, che in molti si ostinano a definire “piano di pace”, quando invece è un documento di posizionamento utile a rinvigorire quelle visioni cinesi all’interno di un dossier molto importante.

Queste iniziative della Repubblica popolare sono un insieme di principi in gran parte vaghi sulla pace mondiale e sulle relazioni di buon vicinato. Concetti come la “sicurezza indivisibile” che vanno al limite del luogo comune. Ma anche se delineato con contorni vacui, è evidente un desiderio cinese di allontanarsi dai sistemi di alleanze e dall'architettura di sicurezza globale che l’Occidente – leggasi gli Stati Uniti – ha prodotto dopo la Seconda guerra mondiale. Pechino attacca questo status quo che dura da decenni definendolo vittima di una "mentalità da guerra fredda". E lo fa in forma attiva, con un’attività via via crescente. In vari forum, dalle riunioni delle nazioni BRICS e dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, o su media africani e sudamericani, i vettori della narrazione cinese hanno pubblicizzato le iniziative di Xi come una nuova piattaforma per il partenariato globale.

Non sono pochi i Paesi e i leader che per varie ragioni di opportunità e interessi hanno accolto favorevolmente l’offerta. La Cina ha "costruito con molta attenzione questo nuovo ordine fondamentalmente asiatico e poi globale", diceva a novembre David Arase, professore di politica internazionale presso l'Hopkins-Nanjing Center, parlando con la Nikkei Asia Review. "Proprio da quel momento, hanno in qualche modo stabilito i principi fondamentali e stanno riempiendo i dettagli man mano che procedono". Iran e Arabia Saudita hanno per esempio colto l’occasione di costruire un accordo dalle dimensioni storiche e siglare la normalizzazione tra i poli – ideologici e geopolitici – del mondo musulmano: e ha scelto di farlo a Pechino, abbracciati da Wang Yi, l’uomo che gestisce la diplomazia del Partito comunista cinese.

"La posizione della Cina come grande potenza secondaria le ha permesso di cavalcare liberamente sull'ombrello della sicurezza americana senza sostenere gli stessi costi per la sicurezza e senza affrontare gli stessi dilemmi strategici", ha spiegato Amr Hamzawy del Carnegie Middle East Program. “Sembra che questo stia cambiando. Mediando l'accordo di normalizzazione iraniano-saudita, la Cina sta virando in un nuovo territorio, espandendo la sua impronta regionale dallo scambio economico alla risoluzione negoziata dei conflitti". Ossia si sta muovendo in una regione di mondo particolarmente vivace come un attore (anche) politico.

Xi, salutando il suo “caro amico” Putin, gli ha detto: “Sta arrivando un cambiamento che non accadeva da 100 anni. E stiamo guidando questo cambiamento insieme”. “Sono d’accordo”, ha risposto il russo. Avere Mosca a bordo è parte dell’interesse cinese, sebbene certamente non sbaglia chi lo definisce “junior partner”. "La logica degli eventi impone che diventiamo una colonia delle risorse cinesi", ha dichiarato al Financial Times una fonte strettamente legata al Cremlino, prima di sottolineare il ruolo in espansione delle aziende tecnologiche cinesi in Russia. "I nostri server saranno di Huawei. Saremo i principali fornitori cinesi di tutto. Si riforniranno di gas da[l gasdotto] Power of Siberia. Entro la fine del 2023 lo yuan [renminbi] sarà la nostra principale valuta commerciale".

E in effetti, non sbaglia nemmeno chi sottolinea che al di là dell’amicizia “senza limiti” – concetto inserito nel comunicato congiunto dello scorso anno, ma evitato in quello di questi giorni – e della narrazione strategica attorno a certi vettori concettuali, nel breve periodo sono gli accordi commerciali che contano. La serie di intese per espandere il commercio di gas naturale e altri legami economici diventa una sorta di ancora di salvezza per il presidente russo, isolato dall'Occidente a causa delle sanzioni imposte a Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina. Sanzioni che tra l’altro potrebbero aver un peso su alcuni dei progetti più importanti, come proprio il Power of Siberia 2, che potrebbe fornire alla Cina circa 50 miliardi di metri cubi di gas russo all'anno, ma su cui non c’è un deal definitivo – e forse perché servirebbero componentistiche occidentali (come le turbine Siemens) attualmente impossibili da reperire per la Russia.

Il quadro delle potenziali cooperazioni è molto ampio, dall’Africa al Sudamerica, fino all’Artico o addirittura allo Spazio. Tutto dipenderà da quanto i due Paesi saranno effettivamente interessarti ad approfondirle. Anche perché finora su alcuni dossier comuni Mosca e Pechino si sono mosse in modo indipendente. Un buon indizio che qualcosa possa effettivamente evolvere riguarda l’Artico. “Consideriamo promettente la cooperazione con i partner cinesi nello sviluppo del potenziale di transito della Northern Sea Route”, ha detto il presidente russo. Si tratta di un passo avanti, attraverso un riconoscimento del valore strategico cinese in quella regione, dopo che i due Paesi avevano visto il territorio artico come ambito di competizione. Interessante evoluzione segnata dal vertice di Mosca anche per l’Europa, visto le continuità di interessi nella regione artica.

Con la sponda russa (o con la sua subordinazione), Xi in qualche modo raccoglie gli interessi del grande investimento della Belt & Road Initiative, infrastruttura geopolitica che ha visto rallentamenti nel coinvolgimento anche perché Stati Uniti e Unione Europea ne hanno mostrato le ambiguità e prodotto piani simili come il Global Gateway Ue. Quella sponda russa serve anche per “lucidare la sua immagine internazionale, minando quella americana e posizionando la Cina a trarre vantaggio da tutto ciò che emerge dalla guerra", come ha scritto l’Economist, che ritiene il coinvolgimento cinese nella guerra russa in Ucraina una ragione di opportunità.

D’altronde è possibile che gli analisti cinesi abbiano chiaro che né la Russia né l'Ucraina vogliano colloqui di pace per il momento, poiché entrambi credono di poter fare progressi sul campo di battaglia. D’altronde che questo impegno fosse relativo, anche (o soprattutto) se collegato al meeting con Putin è evidente anche dalla mancanza di un contatto diretto con Kiev: il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha dichiarato alla stampa giapponese che sta ancora aspettando una chiamata cinese, sebbene abbia espresso tramite canali diplomatici la disponibilità e soprattutto la volontà di un contatto con Pechino.

Diventa altrettanto evidente che per l’Europa (e per gli Stati Uniti), dunque anche per l’Italia, la funzionalità della partnership geopolitica, strategica ed economico-commerciale-finanziaria, tra Russia e Cina rappresenti una sfida profonda come mai vista. La sommatoria delle narrazioni e delle attività strategiche mira a pressare sulla fine delle democrazie liberali, costrutto retorico che tende a disarticolare effettivamente quell’ordine mondiale che conosciamo. Anche per questo il politologo Ian Bremmer ha definito l’incontro tra i due leader l’evento più significativo/problematico dell’anno. Finora.

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