Quo vadis, ASEAN?
Durante le riunioni dell’ASEAN in Indonesia vengono discusse numerose questioni di carattere regionale, ma l’attenzione si concentra sull’assenza di Joe Biden e Xi Jinping.
Dal 5 al 7 settembre si è tenuto a Jakarta, in Indonesia, il 43esimo vertice dei leader dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN), organismo internazionale a carattere multilaterale che comprende dieci paesi del Sud Est Asiatico – Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam, e con lo status di osservatori Papua Nuova Guinea e Timor Est –, cui è collegata l’omonima zona di libero scambio.
In aggiunta ai numerosi incontri bilaterali a margine della riunione dei capi di Stato e di Governo, ha avuto luogo anche la 18esima edizione dell’EAS (East Asian Summit) – forum annuale che riunisce oltre ai membri dell’ASEAN anche Australia, Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Nuova Zelanda, Russia e Stati Uniti – alla quale hanno preso parte altresì il presidente del Bangladesh e il primo ministro delle Isole Cook in qualità di chair, rispettivamente dell’Indian Ocean Rim Association e del Pacific Islands Forum.
Molteplici i temi trattati nel corso delle varie riunioni. In primis, è stato reiterato l’impegno per promuovere la sempre maggiore centralità della regione quale epicentro di crescita economica e sociale; in seguito, sono state affrontate le problematiche che più impattano sull’area anche dal punto di vista politico e ambientale: dal cambiamento climatico alle crescenti tensioni internazionali, dalla food security all’eradicazione della povertà, dalla sicurezza sanitaria alla trasformazione digitale.
Ampio spazio è stato dedicato alle questioni pendenti che minano la stabilità dell’area. Nello specifico, i partecipanti al summit hanno espresso preoccupazione riguardo all’atteggiamento ostile della Corea del Nord, agli attriti e al processo di militarizzazione nel Mar Cinese Meridionale e al perdurare della crisi politica in Myanmar. Questioni che pongono un serio interrogativo sulla natura stessa e sull’unità interna dell’ASEAN.
In particolare, guardando agli ultimi due punti emergono le principali criticità. Alla ridefinizione da parte della Cina delle zone di competenza del Mar Cinese Meridionale, per la quale gran parte di esse sarebbe sotto il diretto controllo di Pechino, alcuni membri – particolarmente suscettibili agli investimenti portati avanti dal Celeste Impero nell’ambito della Belt and Road Initiative – hanno risposto con timidezza producendo un’impasse all’interno dell’Associazione. Stessa impasse riscontratasi in occasione del dibattito sulla crisi in Myanmar: se da un lato è stata riaffermata la necessità di implementare il five-point consensus, dall’altro permangono le divergenze tra i paesi più intransigenti – come Indonesia e Malesia – e quelli che sposano la linea di non-interferenza – come Thailandia e Cambogia –, più in linea con gli interessi di Pechino che seguita ad intrattenere rapporti con la giunta militare al potere.
Inoltre, oscillando tra Cina e Stati Uniti, rispettivamente principali partner economico e securitario nella regione, i paesi dell’ASEAN rischiano di rimanere bloccati in una situazione di stasi tale da pregiudicarne gli sviluppi futuri. Come giustamente riportato da Alexandra Sharp nel World Brief di Foreign Policy ‘ASEAN Fights for Relevance’, molto più che sui temi direttamente inerenti all’area del Sud-Est asiatico, l’attenzione si è focalizzata sull’assenza al forum di Joe Biden e Xi Jinping. La stessa partecipazione dei “comandanti in seconda”, la vicepresidente Kamala Harris e il primo ministro Li Qiang, al loro posto getta un’ombra sulla rilevanza strategica dell’ASEAN come entità politica promotrice di genuini interessi regionali.
D’altra parte, il presidente Xi ha disertato anche il vertice del G20 di Nuova Delhi del 9-10 settembre. L’EAS e il summit che riunisce le venti economie più importanti del pianeta sono due piattaforme nate essenzialmente per rimarcare la natura multilaterale (e multipolare) delle relazioni internazionali contemporanee, in modo da coinvolgere più e diversi attori rispetto, ad esempio, al G7 di matrice occidentale. La Cina in tali formati dovrebbe, dunque, svolgere un ruolo di primo piano, come già fatto nel vertice BRICS in Sud Africa o nel summit della Shanghai Cooperation Organization (SCO), organizzato dall’India ma tenutosi online. In entrambi gli appuntamenti Xi Jinping ha guidato la delegazione cinese. Dunque, perché astenersi dagli incontri del G20 e dell’ASEAN? Senza fare previsioni azzardate, si profilano due nuovi appuntamenti multilaterali da cui trarre alcune risposte: la riunione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a fine settembre e l’Asia-Pacific Economic Cooperation Forum (APEC) di novembre, che quest’anno si terrà a San Francisco. In tali occasioni, forse, si avrà un quadro più completo non tanto delle già chiare intenzioni cinesi nel panorama internazionale, quanto di ciò che sta avvenendo all’interno della “Megamacchina” del partito-stato.