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Ricerca e cooperazione internazionale per la protezione dei mari e lo sviluppo sostenibile

Il Mediterraneo è una delle regioni più esposte ai rischi dei cambiamenti climatici. Il tema della gestione delle risorse idriche e quello della tutela degli ecosistemi marini sono al centro di numerosi progetti di ricerca e di cooperazione in ambito scientifico. Il punto di vista di Silvia Camisasca

“Donatrici di vita e portatrici di morte”: tali erano, già nell’antichità, le acque del Mediterraneo per i popoli che abitavano le sue sponde. Se è vero, del resto, che tutti gli habitat acquatici svolgono una funzione essenziale per l’ecosistema e l’umanità, è altresì innegabile la natura tutta speciale del rapporto, esclusivo e potente, che lega alle acque profonde del Mediterraneo i destini delle sue genti. La sopravvivenza stessa delle comunità costiere, come lo sviluppo e il progresso delle civiltà che vi fiorirono, sono da millenni il portato delle infinite virtù del Mare Nostrum: un mare, la cui salute è ora ampiamente compromessa, minata da decenni di attività antropiche a tal punto aggressive (produzione alimentare intensiva, pesca eccessiva, inquinamento acustico e da plastiche), da trasfigurare il meraviglioso volto del mondo sommerso, svuotato della sua immensa e variopinta biodiversità, e, contemporaneamente, invaso da minacciose specie aliene.

A complicare ulteriormente il quadro, contribuiscono in modo determinante le profonde disuguaglianze nella disponibilità di risorse idriche, non solo tra paesi più e meno sviluppati, in cui l’alternanza sempre più frequente di alluvioni o inondazioni a periodi di siccità diffondono gravi epidemie e carestie, ma anche all’interno delle regioni più ricche, dove il mancato bilanciamento nella distribuzione di risorse idriche tra i diversi settori (quello agricolo continua ad essere il primo responsabile di emissioni di C02, oltre che il maggior consumatore di acqua in tutto il mondo) producono disequilibri che, in un contesto in cui la popolazione globale è in crescita, potrebbero diventare incolmabili. Anche per queste ragioni, i mari, a cominciare dal Mediterraneo, sono stati riconosciuti bene comune globale e la “scienza del mare” si sta rapidamente affermando nell’ambito della diplomazia scientifica, dove si è ritagliata, in modo quasi del tutto “naturale”, un ruolo strategico. Infatti, a cominciare dalla banale osservazione dall’alto della superficie terrestre, per lo più occupata da acqua, emerge, anche visivamente, l’impossibilità per l’immenso manto blu a limitarsi entro definiti tracciati, l’avversione ai concetti stessi di confinamento e confine, invenzione, del resto, del genere umano. L’inclinazione di mari e oceani a definirsi come un continuum, senza vincolo alcuno, deriva dal loro stesso essere fisicamente “transfrontalieri”, quindi risorse comuni, in condivisione, oltre qualsivoglia barriera arbitrariamente eretta. Ecco, dunque, che la diplomazia dell’acqua può più facilmente conquistare la fiducia nei negoziati internazionali per la costruzione di uno scenario multilaterale dialogante e pacifico. Collaborare a programmi di ricerca su mari e oceani, finalizzati a generare valore e benefici per tutta la popolazione del pianeta, non significa solo coagulare gli sforzi di miliardi di persone attorno allo stesso obiettivo, in nome di una sfida superiore con al centro il futuro dell’umanità, superando dirimenti contrapposizioni conflittuali, ma inaugurerebbe un nuovo corso nelle relazioni diplomatiche, in cui le politiche e i trattati per la gestione delle acque e degli oceani, il commercio, lo sviluppo economico e l’inclusione sociale siano orientate all’individuazione delle migliori soluzioni. Ora, però, il corto circuito tra due evidenze sta assumendo tratti esplosivi: da un lato, è ormai piena la consapevolezza che le acque sono risorse limitate e la loro scarsità, che è solo una delle conseguenze del cambiamento climatico, comporta l’urgenza di ripensare, o, meglio, sostituire, l’attuale modello estrattivo con sistemi produttivi sostenibili (dal 2021 nelle Direttive Europee l’espressione “Crescita blu” è stata opportunamente sostituita da “Economia blu sostenibile”); contemporaneamente, però, sempre più frequenti alluvioni, inondazioni, carestie ed epidemie, portato anch’esse della crisi climatica, spingono le comunità, colpite da tali catastrofi naturali, a migrare per sopravvivere, a dimostrazione che le problematiche globali si ripercuotono inevitabilmente all’interno di contesti locali, imponendosi come priorità inderogabile nell’agenda di tutti i paesi del globo.

In questa direzione, lo scorso marzo è giunto un segnale incoraggiante dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’Acqua con l’adozione consensuale del primo trattato in assoluto per la protezione della biodiversità in alto mare: un passaggio fondamentale a livello globale, ma che ha visto l’Europa guidare (e finanziare) il processo che ha condotto all’accordo sul trattato -giuridicamente vincolante- per la protezione della biodiversità nelle acque al di fuori dei confini nazionali (in alto mare, appunto), pari quasi alla metà della superficie terrestre.

In particolare, il mar Mediterraneo potenzialmente offre grandi opportunità, in quanto, pur bagnando territori fortemente connotati dal punto di vista identitario, contiene in sé tutte le premesse per favorire la crescita di uno scambio culturale a 360°, mettendo in secondo piano incomprensioni e contrapposizioni alimentante anche dall’aggravamento della crisi ambientale e dalla pandemia.

Lo sviluppo sostenibile degli ecosistemi rurali e costieri, costantemente in linea con gli orientamenti strategici e con il concetto globale di “Blue Growth”, è l’obiettivo al centro delle attività del CIHEAM Bari (Centro di Alti studi Agronomici del Mediterraneo) nel campo largo della Blue Economy, attraverso attività di formazione, ricerca e cooperazione, per la crescita sostenibile e integrata delle comunità rurali e costiere. A questo scopo, dal 1962 è impegnato nella formazione di studenti e/o funzionari pubblici provenienti da diversi paesi del Mediterraneo meridionale e orientale: una formazione che si concretizza in diversi ambiti scientifici, a cominciare dalla gestione sostenibile delle risorse idriche nel settore agricolo e delle risorse marine. Molti dei 6.000 giovani dottorati che, ad oggi, hanno conseguito master biennali presso questo centro di ricerca avanzata, ricoprono, in rappresentanza dei Paesi di origine, posizioni strategiche in Istituzioni Governative ed Intergovernative Internazionali, presso le quali operano con un approccio improntato al coinvolgimento di tutti i portatori di interesse del territorio, esplorando le alternative più innovative rivolte alla valorizzazione dei prodotti locali e del patrimonio economico, sociale ed ambientale delle aree costiere. Intensi sono anche gli sforzi tesi a promuovere la transizione energetico-ambientale, perché possa tradursi in una transizione sostenibile ed essere colta in quanto opportunità di sviluppo, di implementazione di saperi e competenze e di avanzamento della qualità di vita, in particolare, delle regioni più depresse.

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