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Roma, capitale della sicurezza alimentare globale

Il 24-26 luglio, l’Italia ha ospitato il secondo Vertice delle Nazioni Unite sui Sistemi Alimentari. L’evento è stato l’occasione per ribadire il ruolo leader rivestito dal paese nel campo della sicurezza alimentare e il suo impegno a rafforzare il dialogo con i paesi della sponda sud del Mediterraneo. L'analisi di Emily Tasinato

Il 24-26 luglio, la città di Roma ha ospitato il secondo Vertice sui Sistemi Alimentari presso la sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura. Tale Summit, organizzato e promosso dal governo italiano in collaborazione con l’hub di coordinamento delle agenzie alimentari dell’ONU (FAO; IFAD; WFP) – con sede a Roma – è stato un’importante vetrina per ribadire il ruolo leader giocato dall’Italia nel campo della sicurezza alimentare. Come evidenziato dal Premier italiano Meloni nel suo intervento alla cerimonia di apertura alla presenza di personalità internazionali di alto livello, quali il Segretario Generale dell’ONU António Guterres, il Direttore Generale della FAO Qu Dongyu, il Presidente dell’IFAD Alvaro Lario e il Direttore Esecutivo del WFP Cindy McCain, la food security è una questione prioritaria dell’agenda nazionale italiana e, da sempre, una “linea strategica” della politica estera nazionale. Tra i cluster Food&Beverage più dinamici e avanzati a livello mondiale, l’Italia sta, infatti, compiendo notevoli sforzi per sviluppare un’agricoltura sostenibile in linea con l’Obiettivo “Fame Zero” dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile. La sicurezza alimentare, ha ricordato la Meloni, sarà anche un tema prioritario della presidenza italiana del prossimo G7.

Riflettere sulle sfide presenti ed esplorare nuove opportunità di trasformazione dei sistemi agroalimentari sono stati al centro dei vari confronti, sessioni e incontri di alto livello avuti luogo durante e ai margini del Summit. Circa 200 partecipanti provenienti da oltre 180 paesi, rappresentanti sia del mondo privato che istituzionale – inclusi Capi di Stato, di Governo e Ministri – si sono confrontati a Roma sull’urgenza di continuare la lotta contro il cambiamento climatico; sulla necessità sviluppare e adottare tecnologie all’avanguardia (p.es., agricoltura di precisione, Intelligenza Artificiale e blockchain, analisi dei dati); nonché sul bisogno di capitalizzare sul settore della ricerca al fine di cambiare il volto dell’agricoltura. Abbandonare un sistema produttivo che incrementi l’output agricolo a discapito dell’ecosistema e, viceversa, investire in sistemi alimentari più sostenibili e resilienti dinanzi a futuri shock globali rappresenta una sorta di imperativo strategico condiviso da tutta la comunità internazionale, nessun paese escluso.

Gli effetti, sempre più drammatici, dei cambiamenti climatici; le conseguenze della pandemia da Covid-19; la guerra in Ucraina e il recente ritiro della Russia dall’accordo sul grano hanno, tuttavia, aggiunto nuovi livelli di complessità ai vari sistemi alimentari nazionali, rallentando quel cambio di paradigma – essenziale – per garantire a tutti gli individui un “accesso fisico ed economico a cibo sicuro, nutriente e in quantità tale da rispondere ai bisogni nutrizionali e alle preferenze alimentari”. Questa, la definizione di sicurezza alimentare adottata durante il World Food Summit del 1996. A tale riguardo, nel suo discorso conclusivo della tre-giorni, Amina Mohammed, Vicesegretario Generale dell’ONU, ha restituito un quadro ancora negativo, ribadendo quanto il mondo non sia ancora “on track” per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG). I costi sociali, economici e ambientali associati agli odierni e inefficienti sistemi alimentari ammontano a 12 triliardi di dollari. Una tendenza che, se non subirà un cambio di rotta, potrebbe portare entro il 2030 circa 575 milioni di persone a vivere ancora in condizioni di estrema povertà, e quasi 670 milioni a soffrire la fame. Si tratta di un circolo vizioso, ricorda Amina Mohammed, con profonde implicazioni socioeconomiche, geopolitiche e ambientali che non conoscono confini territoriali.

Tentando di ovviare all’attuale mancanza di fondi in molti paesi, soprattutto del Sud del mondo, e gettando le basi per una nuova strategia di investimento, il Summit FAO a Roma si è concluso con il lancio di un “Window on Food Systems” del Fondo congiunto SDG, che prevede 350 milioni di dollari di finanziamenti catalitici (volti cioè a spianare la strada a ulteriori investimenti) nell'arco dei prossimi cinque anni. Tale “finestra” ambisce, nello specifico, a diventare un importante meccanismo per mobilitare fondi ed expertise sui sistemi alimentari da parte di differenti stakeholder, e, soprattutto, a rimodellare l’architettura finanziaria globale attraverso un massiccio coinvolgimento di investimenti sia pubblici che privati. Una maggiore collaborazione tra governi e imprese per costruire sistemi che “mettano le persone al di sopra del profitto”, esplorando nuovi modi di ridurre i costi di produzione e incrementare la disponibilità di cibo sano per tutti è stato l’appello di Guterres ai presenti al Vertice.

Un nuovo approccio ai sistemi agroalimentari non può, tuttavia, prescindere dalla condivisione di intenti e obiettivi con il Global South, l’area del mondo maggiormente colpita dall’insicurezza alimentare. Ai margini del Summit, il Premier italiano Meloni ha incontrato alcuni leader del Corno d’Africa: il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed; il Presidente della Somalia Hassan Sheikh; il Primo Ministro di Gibuti Abdoulkader Kamil Mohamed; e il Vicepresidente kenyota Rigathi Gachagua. Il Corno d’Africa, in virtù del ruolo giocato negli equilibri del Continente africano e del Mediterraneo allargato, acquisisce una rilevanza strategica per l’Italia, come più volte ribadito dal governo Meloni anche in occasione del trilaterale tra Italia, Etiopia e Somalia durante la visita del Premier italiano ad Addis Abeba lo scorso aprile, e della Conferenza Umanitaria delle Nazioni Unite sul Corno d’Africa di fine maggio co-organizzata anche dall’Italia.

Aggiungendo un ulteriore tassello alla nuova politica estera italiana che vuole rimettere al centro del proprio agire il Continente africano, il meeting con i rappresentanti di Etiopia, Somalia, Gibuti e Kenya pone il Summit FAO su un continuum con la recente Conferenza Internazionale su Sviluppo e Migrazioni, svoltasi a Roma lo scorso 23 luglio. Entrambi gli appuntamenti riflettono l’impegno dell’Italia nel rafforzare il dialogo con i paesi della sponda sud del Mediterraneo e la centralità che l’Italia vuole e sta giocando nella dimensione mediterranea. Il paese mira a fare da apripista a un nuovo modello di partenariato che sia realmente inclusivo e lontano da ogni logica neocolonialista e predatoria delle risorse naturali africane. Migrazione e insicurezza alimentare rappresentano due facce della stessa medaglia.

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