Se la sicurezza alimentare passa anche dalla carne coltivata
Per superare possibili crisi di approvvigionamento dei beni alimentari, diversi Paesi hanno iniziato ad orientarsi verso la produzione di carne coltivata. L’analisi di Emanuele Rossi
Chissà se quando l’emirato del Qatar ha aperto il proprio territorio alla prima start-up che lavora sulle carni sintetiche, nel 2021 (con un investimento di un’azienda statunitense già attiva a Singapore), qualcuno a Doha aveva in mente che a distanza di un anno la regione del Mediterraneo allargato sarebbe finita sotto il pesantissimo rischio di una crisi alimentare diffusa.
La guerra russa in Ucraina ha prodotto un blocco del grano – venduto a molti Paesi mediorientali proprio tramite i raccolti di Mosca e Kiev – e questo ha innescato un aumento generale dei prezzi, spinto anche dall’inflazione. Paesi come l’Egitto, per esempio (che nel mondo arabo non occupa un ruolo banale, non fosse altro per la dimensione demografica), hanno calmierato i prezzi dei beni di prima necessità come la farina, dunque il pane. Ma lo fanno a debito, e non è chiaro fin quanto questa politica di spesa sarà possibile. Soprattutto, tutto ciò che importano ha subito un aumento spropositato dei prezzi. E siccome producono poco, sia a livello agricolo che zootecnico, questi Paesi soffrono il peso dell’aumento dei costi sui prodotti alimentari. Ossia: il cibo, ciò che permette la vita degli esseri umani, sta costando molto di più a quelle popolazioni.
Non serve nemmeno ricordare che già nella storia recente, come in passato, l’aumento dei prodotti alimentari – generi di primissima necessità – ha comportato destabilizzazione socio-politiche. Dunque, chi può si muove, cerca approvvigionamento per superare l’emergenza ma anche soluzioni creative per il futuro. Lo scorso anno, il Doha Venture Capital (DVC) e le autorità del Qatar si sono per esempio accordate con una società statunitense per costruire una fabbrica di produzione di carne in vitro in una zona franca con accesso al porto di Hamad.
La carne in coltura – che in questo caso avrebbe una produzione autoctona qatarina, abbattendo costi – è la soluzione preferita e più futuribile per aumentare la domanda di carne in tutto il mondo. Le carni coltivate sono vere e proprie carni cresciute direttamente dalle cellule degli animali e prodotte con processi microbici. Non si tratta della stessa carne vegana, vegetariana o a base vegetale già disponibile nei supermercati. Gli scienziati iniziano il processo prelevando piccoli campioni di cellule staminali dal bestiame (senza dover uccidere l’animale). Con la moltiplicazione in laboratorio è possibile coltivare carne e produrre quintali di carni partendo da poche cellule.
La carne in coltura è uno dei mercati emergenti dell’industria food & beverage: è stata sintetizzata per la prima volta da uno scienziato olandese nel 2013 (a un costo enorme per chilogrammo) e nel 2020 la Singapore Food Standard Agency ha approvato la prima autorizzazione alla somministrazione di pollo da laboratorio nei ristoranti. Aree come quelle mediorientali e africane – che subiscono il peso delle attuali condizioni atmosferiche e ambientali, e delle potenziali modifiche imposte dal procedere dei cambiamenti climatici (che in certi contesti significa desertificazione) – si stanno concentrando sempre più su questi investimenti.
Se motivazioni etiche, ambientalistiche o salutistiche da parte dei consumatori sono il fattore chiave per rivedere il consumo di carne anche stimolando la crescita del mercato delle coltivate, in Medio Oriente e Africa/Nordafrica, l’inflazione e lo scombussolamento prodotto dalla guerra ucraina e le difficoltà negli approvvigionamenti dalle supply chain legate alla pandemia hanno dato – oltre ai fattori climatici – uno scatto ulteriore. Si è creata una serie di precedenti che ha imposto una riflessione profonda sulla sicurezza alimentare.
Alcuni dei Paesi della regione, come il Qatar, ma anche gli Emirati Arabi Uniti o l’Arabia Saudita e il Sudafrica, hanno capacità economica e progettualità politica per lanciarsi in questo genere di sperimentazioni. La tendenza a investire in varie industrie grazie allo sviluppo della cultura tecnologica – anche per differenziare dai business legati al mercato degli idrocarburi – sta diventando una forza trainante nel promuovere la crescita anche di questo genere di attività nella regione per il prossimo futuro.
Ciò crea un’opportunità favorevole per il mercato delle carni coltivate in quest’area, dove i driver che potrebbero caratterizzare il settore riguardano tanto la necessità quanto la propensione all’innovazione che certi Paesi esprimono anche come forma di slancio per costruirsi la propria standing sul palcoscenico internazionale.
Se al momento il costo della carne coltivata in laboratorio è superiore a quello della carne tradizionale, è prevedibile che in futuro (sebbene non sia chiaramente prevedibile) l’ulteriore commercializzazione e lo sviluppo delle tecniche e tecnologie produttive possa portare a una riduzione dei prezzi e al conseguente aumento delle vendite. Nonché a un uso anche umanitario di questi prodotti.
L’industria delle carni coltivate del Medio Oriente e dell’Africa si sta concentrando sul miglioramento della consapevolezza della comunità in merito alla tecnologia delle colture cellulari e delle carni coltivate in laboratorio dalle startup esistenti, mentre si cerca di attirarne altre per facilitare sviluppo e concorrenza. C’è un lavoro sociale, di comunicazione, nei riguardi di un prodotto che potrebbe essere visto come fantascientifico dai consumatori.
In questo quadro, i Paesi investitori possono costruire un vettore di influenza, avendo capacità di investire a 360 gradi, sia nel campo tecnico che in quello del marketing e delle attività di lobbying. Le nazioni più ricche del Golfo hanno in mano anche su questo campo la possibilità di diventare dei player di riferimento. Spingere queste tipologie di investimento significa aprire all’opportunità di diventare un benchmark internazionale per un settore che gli occidentali guardano con scetticismo. Questo spazio potrebbe anche permettere a quei Paesi di approfondire il proprio ruolo di attori politici in cui i Paesi del Secondo e Terzo mondo possono trovare interlocutori.
Negli Emirati Arabi Uniti, per esempio, le carni a base vegetale sono facilmente disponibili nei supermercati e nei fast-food. Ma la carne cellulare è considerata come un prodotto in grado di cambiare il mercato e permettere ai clienti emiratini di gustare più carne vera. Gli Accordi di Abramo hanno favorito joint venture israelo-emiratine che integrano conoscenze con disponibilità di investimento. A luglio una start-up israeliana ha presentato il progetto per creare un impianto di ricerca e produzione di carne sintetica a Dubai: se tutto andrà secondo i piani, i residenti di Dubai potranno gustare un hamburger di manzo cresciuto in laboratorio e prodotto proprio nell’Emirato.
Non è poco se si considera che la zootecnia emiratina sta già affrontando gli stress da calore che colpiscono le mandrie da latte quanto gli zoccoli degli animali da macello: e con i cambiamenti climatici, potrebbe essere più impattante e più oneroso da gestire. C’è consapevolezza che la carne coltivata in laboratorio potrebbe diventare più accessibile in futuro rispetto alla carne tradizionale, oltre a essere potenzialmente più sostenibile e più sana.
Mentre la maggior parte dei laboratori produce carne macinata, la nuova jv israelo-emiratina vorrebbe tra l’altro sviluppare i muscoli, aprendo la porta alla possibilità di bistecche, stinchi di agnello e altri tagli di carni coltivate prodotte negli Emirati. Questo sviluppo alimentare futuro è possibile grazie alla tecnologia di bioprinting 3D, e ciò dimostra il livello di integrazione hi-tech che c’è dietro al settore.
Questo significa che l’investimento di Dubai sarà anche un modello: l’industria produttiva emiratina potrebbe essere già pronta se in futuro verrà adottato un uso più ampio di questo genere di carni. La sburocratizzazione dei processi – pur mantenendo standard di controllo adeguati – potrebbe rendere più veloce certi tipi di investimenti e creare in certi Paesi hub tecnici (e tecnologico-produttivi). Un vantaggio strategico.
La rapida crescita delle carni coltivate ha interessato anche l’Africa. Nel corso degli anni, l’aumento del reddito medio e la costante crescita economica del Sudafrica – uno dei BRICS e membro del G20 – hanno per esempio portato a un aumento significativo della domanda di carne, con i consumatori con più possibilità che hanno optato per una dieta più ricca di proteine. Ma in Sudafrica il 30% dei bambini vive ancora senza accesso completo a un pasto giornaliero sano, e la malnutrizione cronica – dovuta anche alla carenza proteica – è la causa principale di decessi infantili. Nel Paese la produzione di carne sintetica è palesemente una questione di sicurezza alimentare.
L'industria in generale ha solo una decina d’anni e manca ancora qualche anno per essere disponibile su larga scala in diversi Paesi. Fino ad allora, i benefici della carne prodotta per la salute degli animali, delle persone e dell’ambiente sono più una speranza che una promessa. Ma questo è uno dei vari campi in cui alcuni Paesi più lungimiranti e capaci nell’investire su tecnologie future possono usufruire di spazi non solo economico-commerciali, ma anche politici, diventando riferimento per altre nazioni in cerca di supporto e dunque aumentando anche la loro forza nelle attività internazionali.