Strategie occidentali nell’Africa Atlantica
La presenza americana in Nord Africa tra esercitazioni militari e accordi commerciali. Il punto di Alessandro Giuli
Tindouf, Algeria
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La strategia della presenza americana in Nord Africa compie un salto di livello indicativo di un atteggiamento meno riluttante rispetto a quanto si potesse immaginare alla vigilia del conflitto russo-ucraino. Malgrado Washington persista nel mantenere rapporti distesi nei confronti dell’Algeria, tradizionale Paese alleato russo con il quale è stato appena siglato un ponderoso piano di partenariato economico, in cima all’agenda maghrebina risaltano le esercitazioni militari “African Lion” che il Comando americano Africom sta tenendo assieme agli Stati coinvolti negli accordi di Abramo del 2020: oltre 7.500 soldati marocchini, tunisini e senegalesi sono impegnati dal 20 giugno fino al 1° luglio. Accanto all’America e a Israele, il Marocco si pone come il perno principale d’un fronte trasversale di contenimento delle iniziative terroristiche riconducibili alla sfera d’influenza iraniana (in prima linea Hezbollah) e che potrebbe culminare in un progetto di difesa integrata (Deterring Enemy Forces and Enabling National Defenses) sostenuto anche da Giordania, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi; nonché dall’Iraq, dove il 9 giugno scorso il consolato statunitense è stato colpito da un drone che si sospetta proveniente dalle milizie sciite controllate da Teheran. L’Iran è accusato da Rabat anche in relazione al crescente traffico d’armi a beneficio degli indipendentisti saharawi del Fronte Polisario al quale non sarebbe estranea l’Algeria. Proprio nel quadro di un progressivo deterioramento nel rapporto con Algeri, le Forze armate marocchine hanno intensificato una politica di riarmo commissionando a Gerusalemme nel febbraio scorso il sistema di difesa anti-aerea e anti-missilistica Barak MX e quello anti-droni Skylock Dome.
L’Algeria ha risposto con una simmetrica mobilitazione militare a Tindouf, nella delicata zona di confine del Sahara occidentale. L’esercitazione ha avuto luogo di notte, con l’impiego di carri pesanti, aerei da caccia ed elicotteri; ma è nel potenziale controllo dei fondali mediterranei che l’Occidente identifica (e sorveglia) il più considerevole punto di forza algerino. Con i suoi sei sottomarini di ultima generazione – due Kilo 877EKM e quattro Kilo 636 ai quali potrebbero presto aggiungersene altri due – armati di missili russi Kalibr a lunga gittata (fino a 300km), Algeri può vantare risorse balistiche paragonabili soltanto a quelle possedute da Stati Uniti, Cina e Russia.
Si spiega dunque con facilità la scelta americana di puntare sul Marocco come attore di prima grandezza regionale per la tutela della sicurezza e degli interessi comuni occidentali tra Maghreb e Sahel. Di qui anche il particolare interesse affinché il rinnovato protagonismo algerino in fatto di approvvigionamento energetico lungo la direttrice europea non impedisca a Rabat di concorrere a sfamare il fabbisogno di gas dell’Ue alle prese con gli effetti delle sanzioni comminate a Mosca. In gioco c’è il progetto del gasdotto transahariano di 4mila chilometri che dovrebbe collegare Nigeria e Algeria passando per il Niger. Il Regno di Mohammed VI, al riguardo, non è rimasto inoperoso. Preceduto da un messaggio del sovrano marocchino giunto in apertura dei lavori del Forum africano dei fondi sovrani, il ministro nigeriano delle Risorse petrolifere, Timipre Sylva, ha annunciato che il Consiglio esecutivo federale (FEC), autorità governativa presieduta dal capo di Stato Muhammadu Buhari, ha convalidato il proposito della Nigerian National Petroleum Corporation (NNPC) di concludere un accordo con la CEDEAO per realizzare un gasdotto che collegherà Nigeria e Marocco. Obiettivo: consolidare i fondamentali strutturali di una “Africa Atlantica” anche attraverso una nuova pipeline antagonista rispetto al “blocco asiatico” di cui l’Algeria è considerata il potente terminale.
Nondimeno, la Realpolitik di Washington e la ben nota autonomia diplomatica perseguita da Algeri hanno consentito ai due Stati di firmare importanti accordi per la cooperazione in materia di agricoltura, industria, infrastrutture ferroviarie e sicurezza alimentare. Fra varie intese, la prospettiva di una carestia globale dovuta al blocco del grano ucraino ha accelerato il progetto congiunto tra Agro-Plus Algérie e l’americana Agri International L.L.C per la produzione di foraggi su una superficie di circa 3.300 ettari nel distretto di El Meneaâ attraverso tecniche e tecnologie statunitensi avanzate nel campo della coltura, della raccolta e dello stoccaggio di cereali.