Sulle montagne dell’Azerbaigian dove vive la comunità degli Udi
Il reportage di Rossella Fabiani sulla comunità cristiana degli Udi, che vivono sulle montagne dell’Azerbaigian
Robert Mobili è a Baku dove ha appena partecipato a una conferenza internazionale. E verrà con noi nel nostro viaggio verso Nij dove abita. Nij si trova nella regione di Gabala e dista dalla capitale dell’Azerbaigian circa 240 chilometri. Robert è il capo della comunità cristiana albana degli Udi che vive ancora oggi a Nij. Gli Udi sono i discendenti dell’antica popolazione albana del Caucaso che è stata convertita al cristianesimo nel IV secolo d.C. dalla predicazione di Sant’Eliseo, discepolo dell’apostolo Taddeo, e fanno parte della chiesa apostolica ortodossa di rito orientale. Settant’anni, due figli, Robert è molto felice di far conoscere la chiesa a cui appartiene: “siamo stati dimenticati per tanto tempo ma la nostra voce non si è mai spenta”, ci dice. Il viaggio in macchina è piuttosto lungo: circa tre ore, ma è anche un’occasione per vedere, in parte, il territorio caucasico. La macchina corre veloce e dai finestrini il paesaggio cambia forma: dalle zone più desertiche a distese verdi coltivate a viti, aranci, fino ai boschi di castagno. La strada per Nij è quella che porta a Shamakhi e che poi arriva in Georgia. Shamakhi, già capitale dell’Azerbaigian, è in un’area dove ci sono stati tanti terremoti: nel 1902 fu completamente distrutta. È una delle più antiche città del Caucaso. Da qui ci sono ancora due ore di strada. In parte in fase di allargamento. La natura è bellissima. Si cominciano a vedere le montagne del Caucaso Maggiore (o Grande Caucaso) che Robert ci indica durante il tragitto. “Il Caucaso Minore è in Garabagh”, ci dice. “Il Caucaso Maggiore, invece, inizia da Guba e finisce nel Mar Nero”. Robert è teologo e geologo, “come il mio amico Vladimir Fekete”, vescovo cattolico a Baku nella chiesa dell’Immacolata Concezione e dal 2011 prefetto apostolico dell’Azerbaigian. La teologia l’ha studiata a Kiev, all’Accademia teologica ortodossa, come pure il suo amico, padre Rafik Danakari. Robert e Rafik sono i soli due sacerdoti al momento presenti a Nij. Ma sono pronti per essere ordinati preti, a Mardin in Turchia, altri 27 membri della comunità che hanno studiato teologia a Baku. Tra questi anche Sergei Annari, un uomo mite che ha la Bibbia impressa nel suo volto: “tutta la mia vita ho letto e riletto il libro sacro”, così la chiama mentre i suoi occhi non smettono di sorridere. Sua moglie, Venera Antonova, è un insegnante e oggi dirige la scuola del villaggio. Le sue braccia nel salutarci sono come quella di una mamma: accoglienti, docili e solide. Con orgoglio mostra i due libri che ha realizzato per i suoi alunni per insegnare l’antica lingua Udi. “Oggi tutti parlano azerbaigiano e russo. Ma a scuola è possibile studiare anche la nostra lingua antica così da conoscere e non dimenticare le nostre tradizioni e la lingua della nostra liturgia”, dice Venera. A Nij ci sono 5 scuole dove si studia in azerbaigiano e in russo e fino al quarto anno anche in lingua udi.
Anche Robert sta facendo un grande lavoro nella conservazione dell’antica lingua udi “ho scritto un vocabolario di azerbagiano-udi, ho tradotto anche i Vangeli in udi e molto c’è ancora da fare. Il primo a fare un vocabolario in lingua udi è stato l’orientalista Adolf Dirr”.
Nella sua prima vita, durante il periodo sovietico, Robert cercava materie prime sul Caucaso nel Nakhchivan, in Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan. E dei suoi ritrovamenti era tenuto a fare un resoconto per il governo russo. Negli ultimi anni ha messo questa sua conoscenza geologica al servizio della storia della sua chiesa studiandone i materiali da costruzione, le malte e le terre.
“La nostra chiesa è potuta esistere fino al 1836, per la precisione fino all’11 marzo di quell’anno, quando lo zar Nicola I decide di inglobare la chiesa albana nella chiesa armena gregoriana. Inizia da quel momento la traduzione delle fonti albane in armeno. Gli Udi rifiutarono questa decisione e iniziarono a pregare in casa. Non hanno voluto gregorianizzarsi e hanno mantenuto la loro lingua e la loro identità. La Russia zarista nel Caucaso applicò in modo terribile il principio divide et impera: divideva i popoli e diffondeva odio usando la religione. Siamo una chiesa apostolica perché Bartolomeo - uno dei 12 apostoli - arrivò a Baku nel 71 d.C. Qui l’apostolo venne martirizzato vicino alla torre della vergine nella Città Vecchia (il nome del centro storico) di Baku dove c’era anche una chiesa a lui dedicata. Oggi la chiesa non esiste più perché è stata distrutta dai sovietici. Prima di Bartolomeo, fu la predicazione di Sant’Eliseo - mandato nel Caucaso per conto di San Giacomo, il primo patriarca di Gerusalemme - a far conoscere il cristianesimo in queste terre e a Sant’Eliseo è dedicata la chiesa più antica del Caucaso, quella di Kish”.
Oggi dopo tre anni di restauro, la chiesa di Kish è tornata alla sua struttura originaria. “È considerata la madre delle chiese del Caucaso anche dalla chiesa georgiana e da quella armena. Queste chiese avevano il loro territorio canonico che corrisponde oggi a quello dell’Azerbaigian”.
Nel 313 con l’editto di Milano, il cristianesimo diventa religione di Stato. Si assiste allora a un nuovo impulso nella costruzione di monasteri, chiese e cappelle anche in Azerbaigian. Ma la vera fioritura del cristianesimo nel Paese avviene con il re Javanshir dell’Albania del Caucaso (642-681) con lui vennero costruite tantissime chiese. Una sua piccola statua a cavallo è esposta nella chiesa di Kish.
“Io sono stato battezzato nel fiume Giordano. E sono stato il primo azerbaigiano a visitare il Monte Athos. Qui l’Archimandrita Alexi del monastero Xenofonte mi ha regalato la sua croce. Siamo vicini alla chiesa di Gerusalemme come alla chiesa etiope e a quella siriana. I lunghi anni che abbiamo passato senza poter avere contatti con i nostri fratelli orientali ci ha fatto perdere molto della conoscenza della nostra liturgia. Per questo i nostri sacerdoti vanno a Mardin in Turchia dove esiste una chiesa siriana molto antica e dove possono imparare nuovamente la nostra liturgia. A Mardin parlano in turco e per noi non è difficile capire. Ci accolgono per due settimane e ci insegnano i riti della loro antica chiesa”.
La scoperta del Palinsesto sinaitico - fatta nel 1996 da Zaza Aleksidze e portata avanti da Jost Gippert e Wolfgang Schulze - pubblicato da Brepols, documenta l’esistenza della lingua udi già nel V e VI secolo d.C. Nel palinsesto gli studiosi hanno decifrato e interpretato la quasi totalità dei fogli leggibili (si tratta per lo più di testi biblici) e hanno trovato una continuità tra la lingua liturgica degli antichi albani e la lingua degli Udi.
“La nostra realtà cristiana è così viva per noi che tutta la comunità è impegnata a far rinascere e a far conoscere la nostra storia. Quando San Giovanni Paolo II è venuto in visita a Baku abbiamo voluto donargli la nostra croce albana e la foto di quel momento è nel nostro villaggio in uno spazio dedicato dove tutti possono andare e vedere il nostro lavoro. Si trova all’interno del giardino della chiesa di Sant’Eliseo di Jotari a Nij”.
Oggi gli Udi in tutto il mondo sono circa 10 mila. A Nij sono 4 mila e a Oghuz circa 100, qualcuno vive anche a Baku. Il resto sono in Russia, Georgia, Kazakhstan (ad Aktau la capitale della regione Mangystau dove gli Udi sono stati i primi ad andare quando è stata costruita la citta) e Ucraina. Piccole comunità sono anche in Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan, Moldova, Bielorussia, Lituania, Kirghizistan, “tutti trasferitisi da qui dopo il crollo dell’Unione Sovietica per motivi economici. Oggi siamo una comunità cristiana vivente e per la maggior parte contadini”.
A Nij si terrà anche il secondo corso di teologia, dopo il primo che si è tenuto a Baku lo scorso anno. I nostri futuri teologi, che poi verranno ordinati sacerdoti, studieranno qui. Per la pratica e per imparare la liturgia andranno poi anche loro a Mardin in Turchia.