Summit NATO 2023 tra Ucraina, Svezia e Fianco Sud
Il vertice di Vilnius è stato per l’Italia l’occasione di richiamare l’importanza del Fianco Sud e il legame tra Alleanza Atlantica, Mediterraneo e Indo-Pacifico.
L’11 e 12 luglio si è tenuto a Vilnius, in Lituania, l’edizione 2023 del Summit NATO – la riunione dell’Alleanza Atlantica, alla quale partecipano i capi di Stato e di Governo, nonché i ministri degli Esteri e della Difesa dei 31 stati membri.
Come già avvenuto a Madrid nel 2022, il vertice ha avuto come oggetto principale di discussione l’aggressione armata da parte della Federazione Russa all’Ucraina e i rischi derivanti dall’operato di Mosca per la stabilità e la pace dell’intera regione euroatlantica, con particolare riferimento al fianco Est dell’Alleanza.
Sotto numerosi aspetti, il summit di quest’anno presenta diversi elementi di novità. Si tratta, infatti, del primo vertice NATO a cui partecipa la Finlandia in qualità di stato membro e presumibilmente, dopo l’assenso dato dalla Turchia a poche ore dall’inizio dei lavori, anche l’ultimo in cui la Svezia prenderà parte con lo status di osservatore.
Nel 2022 Volodymyr Zelensky intervenne al vertice da remoto. Quest’anno, invece, il presidente ucraino si è recato in Lituania, dove è stato accolto da Jens Stoltenberg – riconfermato di recente Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica fino al 2024. In tale occasione è stato ribadito il pieno sostegno all’Ucraina e la volontà di migliorare ulteriormente il processo di integrazione euroatlantica di Kiev, seppur l’ingresso a tutti gli effetti nella NATO resti condizionato al soddisfacimento di determinate condizioni.
Da notare che in Spagna giunsero, come quest’anno, i leader di Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda – sin da subito allineati nel sostegno a Kiev. Tuttavia, se nel comunicato finale del 2022 si menziona solo brevemente l’importanza della cooperazione con i partner dell’Indo-Pacifico, a Vilnius è emersa chiaramente la strategicità della regione per la NATO, nonché la profonda interdipendenza che la lega all’area euroatlantica.
Marcando un netto cambio di prospettiva rispetto al precedente summit, quest’anno è stato inoltre affermato a più riprese che la Cina “challenges our interests, security and values”. Date le sue ambizioni, le politiche coercitive e il largo utilizzo di strumenti economici, politici e militari, Pechino crea infatti delle dipendenze strategiche e pone sfide sistemiche ai danni dell’Alleanza Atlantica, anche attraverso il sostegno alla Russia.
Oltre ad essere state evidenziate le numerose nuove iniziative della NATO volte ad affrontare le principali sfide e a migliorare la resilienza e le capacità militari degli Alleati – come, ad esempio, testimonia la creazione del Maritime Centre for the Security of Critical Undersea Infrastructure, dei centri di eccellenza per lo Spazio e per il Cambiamento Climatico e il programma Virtual Cyber Incident Support Capability – sembra delinearsi un processo di compartimentazione regionale delle competenze e responsabilità per la gestione delle crisi e rafforzarsi l’approccio multinazionale e multi-dominio per le situazioni di emergenza.
Per l’Italia, hanno preso parte al summit il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, e il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
L’Italia, membro fondatore dell’Alleanza Atlantica, ha fatto della NATO il principale asse della propria politica di sicurezza e difesa fin dal 1949. Roma è un contributore netto di truppe per le operazioni dell’Alleanza, sebbene sconti l’incapacità di raggiungere il 2% di spese per la Difesa nel proprio bilancio nazionale. Un bilancio che, oltretutto, è fortemente gravato dalla voce Personale a scapito di Esercizio e Innovazione, uno dei casi più gravi di asimmetria nel riparto della spesa militare tra i paesi occidentali. Asimmetria che il ministero della Difesa si è impegnato a ridurre nel contesto di un più ampio programma di ristrutturazione, aggiornamento e finanziamento delle forze armate che collima, seppur tra dubbi e timori circa il rispetto delle tempistiche, con gli obiettivi generali di innovazione degli strumenti militari nazionali decisi in sede atlantica.
Il Summit ha avuto nondimeno un particolare valore per l’Italia dal momento che è stato possibile porre all’ordine del giorno, a fronte di una inevitabile attenzione catalizzata dalla difesa del fronte orientale, la questione dell’instabilità della regione meridionale. Attenzione è stata dedicata infatti al Medio Oriente, al Nord Africa e al Sahel, così come alla regione del Mar Nero, dei Balcani occidentali e ad alcuni specifici paesi, tra cui Tunisia e Iraq. Focolai di instabilità riferibili a problematiche complesse (dal cambiamento climatico alle crisi economiche fino al terrorismo) ma suscettibili al tempo stesso di essere utilizzati da rivali sistemici come Russia e Cina per porre in essere “manovre destabilizzanti o interferenze coercitive”. Per questo motivo, il Consiglio dell’Alleanza è stato incaricato di avviare una riflessione sulle sfide e le minacce, ma anche le opportunità, poste dalla regione meridionale. Un lavoro i cui risultati dovrebbero essere presentati nel Summit del 2024.
Si tratta di un importante risultato per l’Italia che, sin dalla seconda metà degli anni Sessanta, ha sempre manifestato preoccupazioni per il rischio di un declassamento del cosiddetto “fianco Sud” dell’Alleanza, un tema che ricorre ciclicamente nella storia dei rapporti tra Roma e i propri alleati della NATO. Dal punto di vista italiano, infatti, la separazione del fianco Sud dal fronte orientale lascerebbe l’Italia, così come la Grecia e la Spagna e, seppur in modi diversi, la Francia e la Turchia, esposta alle pressioni e all’instabilità della cintura meridionale dell’Alleanza. Con il progressivo irrobustimento dei meccanismi di deterrenza e difesa ad est, attori ostili potrebbero essere indotti a concentrare le proprie operazioni a sud per aggirare la NATO sfruttando un’area critica per le forniture energetiche (ancora di più dopo lo scoppio della guerra), la libertà di navigazione e di commercio sui mari, la sicurezza alimentare dei paesi del Nord Africa, le comunicazioni sottomarine, le rotte migratorie. Viepiù, l’attenzione che la NATO sta dedicando al tema dell’Indo-Pacifico e dell’espansionismo cinese potrebbe rendere ancora più importante nel prossimo futuro, perlomeno dal punto di vista concettuale prima ancora che operativo, la regione del Mediterraneo per via della sua diretta connessione geografica con il corridoio indo-pacifico.
L’Italia, presidente di turno del G7 nel 2024, potrebbe farsi interprete di questa prospettiva insieme alla Francia, radunando attorno a sé la Grecia, la Spagna, il Portogallo e, con le dovute cautele, la Turchia stessa. Un avvicinamento ad Ankara potrebbe infatti favorire il distacco di quest’ultima da Mosca e l’avvio di una politica di distensione su alcuni importanti dossier di comune interesse quali la Libia, Cipro, la Siria, il Libano, i Balcani occidentali, le migrazioni e la sicurezza delle rotte marittime e dei porti sul Mar Nero. In quest’ottica, il bilaterale Italia-Turchia svoltosi durante il Summit non può essere considerato né casuale, né episodico, ma parte di una più ampia strategia italiana per mantenere il Mediterraneo ancorato alla cornice atlantica.