Terremoto in Turchia e Siria: cause del sisma e conseguenze nei paesi colpiti
Intervista di Silvia Camisasca al Prof. Carlo Doglioni, Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)
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Migliaia di vittime, altrettanti feriti, danni incalcolabili a edifici e infrastrutture: non avremo forse mai i ‘numeri’ effettivi della tragedia che alle 04:17 e poi alle 15.24 dello scorso 6 febbraio ha colpito la Turchia, la Siria e, indirettamente, il mondo intero. Un dramma indicibile di cui a parlare restano solo dolore, disperazione, smarrimento. Il senso stesso della conoscenza e la missione degli scienziati, tuttavia, consistono proprio nello spingersi oltre gli inevitabili interrogativi -avremmo potuto evitare tanta devastazione? Potremo mai prevedere, anticipare o contenere tale furia distruttiva? Chi ha la responsabilità della nostra sicurezza?- e nell’indagare, nel raccogliere dati, nell’aggiungere tasselli alla storia del pianeta. All’interno della comunità scientifica alcuni sono particolarmente allenati a interpretare i minimi segnali provenienti dalle viscere della Terra: tra loro, Carlo Doglioni, Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).
Presidente, come descriverebbe, da un punto di vista geologico, quanto accaduto in Turchia e Siria?
“La placca Anatolica ogni giorno, costantemente, si muove verso sudovest di poco meno di 2 cm l’anno rispetto alla placca Araba. Il movimento tra le due placche tettoniche è però bloccato dall’attrito tra i blocchi, dove, nel corso dei decenni o secoli, si accumula una gran quantità di energia elastica: in questo modo, il volume crostale tra le placche è divenuto un serbatoio esplosivo in grado di scatenare, nel giro di poco più di un minuto, una potenza immane. In quell’area di confine il rilascio di energia ha attivato una serie di piani, dette faglie, la cui frizione ha generato la radiazione di onde sismiche. Ne è scaturito un movimento di diversi metri, circa 7 metri per il primo terremoto, di magnitudo 7.8, e fino 8 per il secondo sisma, seguito poche ore dopo, di magnitudo 7.5”.
Rivolgendo lo sguardo al contesto geopolitico, la situazione di Stati quali Siria e Turchia può avere un impatto, ed eventualmente in che termini, sulla ricerca scientifica?
“Gli Stati che investono maggiormente in ricerca scientifica sono mediamente quelli più all'avanguardia nello studio dei terremoti e nell’adottare le misure più adeguate volte a proteggere la popolazione e le infrastrutture. Nel caso specifico, la Turchia vanta una lunga tradizione nell’ambito della geologia e della geofisica e forma eccellenti ingegneri. Indipendentemente dalle condizioni geopolitiche, già di per sé critiche (basti pensare ai bombardamenti in Siria), le aree colpite hanno una cultura e una comunità scientifica di tutto rispetto, alla quale, soprattutto in questo momento, esprimiamo la nostra vicinanza, solidarietà e disponibilità a collaborare”.
Quali altri Stati nell’area del Mediterraneo allargato meritano un’attenzione particolare per i rischi a cui sono esposti?
“Per quanto concerne la regione di levante i paesi sono diversi: Libano, Israele, Giordania e l’intera penisola greca, compresa Cipro. Sul versante opposto ricordo certamente Algeria, Marocco, Tunisia”.
La percezione del ‘pericolo’ non manca: cosa possiamo fare perché questi paesi maturino la necessaria cultura della prevenzione?
“Nostro compito è proprio quello di definire la pericolosità naturale associata ad uno specifico territorio, determinata da una serie di parametri, quali, ad esempio, l’ambiente tettonico. Disporre di queste conoscenze è condizione a politiche costruttive adeguate alla portata e alle dimensioni dell’evento sismico. In altre parole, solo se gli ingegneri e tutti coloro che operano nel comparto edile possiedono gli strumenti per progettare strutture resistenti allo scuotimento della terra, non si ripeteranno analoghe tragedie”.
Ogni evento sismico, in ottica scientifica, aggiunge un capitolo alla comprensione della natura e dell’ecosistema che ci circonda. Cosa ci ha insegnato quest’ultimo terribile sisma?
“Abbiamo raccolto diverse tipologie di dati attraverso i quali capire con maggior accuratezza i processi che attraversano il pianeta durante un evento sismico e queste andranno a integrare le informazioni già acquisite; mentre la possibile magnitudo dell’evento sismico era nota per quanto riguarda la Turchia, solo da pochi decenni abbiamo a disposizione degli strumenti per misurare le accelerazioni e gli spettri di velocità del suolo durante il terremoto nell’area epicentrale, che è stata vastissima, oltre 50.000 km2. È importante ricordare che ciò che determina la tragedia, cioè vittime e devastazioni, è lo scuotimento del suolo, e che sulla base di queste accelerazioni teoriche si definiscono le norme tecniche di costruzione antisismica. Anche questa volta, la natura è andata oltre le nostre conoscenze: accelerazioni e velocità sono state maggiori di quelle attese. La scienza progredisce per approssimazioni successive e per i geologi e ingegneri, i terremoti sono degli esperimenti da cui dobbiamo trarre i maggiori insegnamenti. Sulla base di uno studio a seguito del terremoto di M 6.8 del gennaio 2020 avvenuto a nordest dell’area colpita in Anatolia quest’anno, due ricercatori dell’INGV, Daniele Cheloni e Aybige Akinci, in un loro studio del 2020*, ipotizzarono correttamente che la regione a sudovest di quell’evento potesse essere la sede di un altro ben maggiore evento sismico, così come accaduto”.
Può essere fatto qualcosa, ed eventualmente in che termini, per prevenire episodi di tale portata?
“Questo terremoto ci ha dimostrato, ancora una volta, che le accelerazioni sono state più forti di quelle previste, poiché in vari punti si è superato lo scuotimento atteso. In alcune zone l’accelerazione del suolo ha addirittura superato quella della forza di gravità. In termini di prevenzione è necessario rivedere le norme tecniche di costruzione, perché trovi spazio un vero ‘new deal’ nella prevenzione: occorre una cultura della prevenzione rivolta alla tutela della vita delle persone, ma tesa anche a salvaguardare case e infrastrutture nelle zone epicentrali, per non disperdere per decenni generazioni di sfollati e disgregare il tessuto socio-economico delle aree colpite. Ciò significa iniziare a progettare mediante dei parametri di scuotimento ipotetici maggiori rispetto a quanto fatto fino ad oggi. Le tecniche antisismiche ci sono e costano sempre meno”.
Quanto è importante la condivisione dei dati scientifici nella comprensione del fenomeno sismico avvenuto in Turchia e Siria?
“A livello geofisico, oggi i dati sono condivisi a livello mondiale. Un terremoto non può essere nascosto, se non altro perché registrato nelle sale sismiche di tutto il mondo. La condivisione, in questo senso, è un obbligo etico e civile sancito dalla comunità scientifica internazionale”.
Quale è il peso della cooperazione internazionale in ottica di ricerca scientifica?
“Moltissimo: la diffusione dei risultati dei monitoraggi e delle idee e la verifica delle ipotesi rispetto alle varie teorie portano sempre ad un avanzamento sostanziale della conoscenza e del sapere scientifico. Questo lo si è visto, per esempio, nello sviluppo dei vaccini Covid in tempi rapidissimi, impensabili fino a poco fa: un risultato straordinario raggiunto, e possibile, solo grazie a strettissime sinergie e collaborazioni internazionali”.
Quanto il livello di democraticità di uno Stato può impattare sulle politiche di mitigazione e prevenzione di un territorio, oltre che sulla possibilità e rapidità di intervento e soccorso in caso di catastrofi naturali?
“La scienza deve essere libera e svincolata da dittature e diktat di qualsiasi natura: politica, religiosa, militare, culturale. Questo principio, fortemente rivendicato dai nostri padri costituenti, è espresso anche chiaramente in due articoli della Costituzione della Repubblica Italiana. Ricordo l’Art. 9 - La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica- e l’Art. 33: -L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Per concludere: quanto conta nella scienza riferirsi ad un unico solo linguaggio, una sorta di ‘porto franco’ in cui tutta l’umanità possa ritrovarsi, nella consapevolezza che le sfide che riguardano tutti noi prescindono e travalicano i distinguo che ci dividono?
“La scienza ha un linguaggio comune che supera ogni barriera: le formule, i teoremi della matematica e le teorie della fisica non conoscono bandiera, non hanno colore. Le regole della natura non possono essere occultate, né bloccate ai confini, non cambiano da uno stato all’altro e non è nemmeno arginabile la loro diffusione. È, quindi, essenziale formare una classe di scienziati, di cittadini e di dirigenti consapevoli, in grado di assimilare, maturare e promuovere questo linguaggio universale: tutti noi, in particolare se in ruoli di responsabilità, dovremmo sentire prioritaria l’esigenza di investire nello sviluppo culturale dei prossimi decenni”.