La crisi finanziaria libanese
La crisi finanziaria del Libano e il futuro dell’economia libanese. L’analisi di Gaja Pellegrini-Bettoli
Se si passa davanti a una filiale di banca a Beirut – o altrove in Libano – è probabile che la facciata sia coperta di lastre di metallo per prevenire attacchi e atti di vandalismo. Nelle ultime settimane i correntisti libanesi, di fatto tagliati fuori dai propri conti in valuta estera (dollaro degli Stati Uniti) dall’ottobre 2019 e disperatamente bisognosi di accedere ai fondi, sono ricorsi a minacciare gli istituti di credito con pistole giocattolo, e in alcuni casi con armi reali. La crisi economica scoppiata in Libano nel 2019 ha prodotto effetti paragonabili per magnitudine all’esplosione del 2020 nel porto di Beirut – la più potente esplosione non-nucleare della storia. Secondo il World Bank Lebanon Economic Monitor, l’emergenza libanese potrebbe figurare tra le dieci – forse tra le prime tre – crisi più gravi, su scala globale, dalla metà del diciannovesimo secolo. La crisi ha messo in ginocchio il Paese e ridotto tre libanesi su quattro sotto la soglia di povertà, mentre la lira libanese ha perso più del 95% del proprio valore. Laddove è necessario analizzare le cause della situazione corrente, l’articolo si concentra sulla linea di condotta migliore per il superamento della crisi (il bailout del FMI, o “final deal”, come lo definiscono spesso i politici libanesi); le sfide e gli ostacoli che impediscono una riforma del sistema economico; i più recenti sviluppi politico-economici e le loro implicazioni.
Parafrasando lo scrittore libanese-statunitense Gibran Kahlil Gibran: per conoscere mente e cuore di un [una persona] Paese, non guardare ciò che ha ottenuto ma ciò a cui aspira.
Situazione attuale
Dall’inizio della crisi, il PIL del Libano è sceso da circa 55 miliardi di dollari del 2018 a 20,5 del 2021. Per molti libanesi, oggi, la vita è diventata una lotta quotidiana. Migliaia di persone hanno perso il lavoro e i tagli alle forniture energetiche sono all’ordine del giorno (lo erano già prima della crisi, ma ora in maniera drastica). A prevenire il collasso sono le rimesse inviate nel Paese dai lavoratori libanesi all’estero, stimate quest’anno tra i 7 e i 10 miliardi di dollari e tradotte, in media, in 600-900 dollari al mese per nucleo familiare. Le rimesse estere offrono un’ancora di salvezza in assenza di riforme politico-economiche, ma costituiscono anche un possibile palliativo allo scontento popolare. Dato il numero di recenti scioperi e proteste, tuttavia, sembrerebbe che per il Libano il tempo e la pazienza – insieme ai risparmi dei correntisti – sia quasi esaurito.
Prima della crisi, la classe media libanese costituiva circa il 13% della popolazione residente nel Paese, con uno 0,3% a coprire la categoria dei milionari.
Cause della crisi
Dai rooftop à la page di Beirut, lontani dalla realtà di tutti i giorni, è difficile comprendere il vero stato del Paese. Forse, e peggio ancora, alle personalità influenti su quei rooftop non interessava cambiare le cose, sentendosi immuni dalle conseguenze attuali. Oggi, tuttavia, la definizione di “ricco” in Libano non riguarda più il valore del conto in banca, ma il wasta (arabo per appoggi, conoscenze) necessario per accedervi.
L’economia libanese si basava sull’afflusso di dollari dall’estero per finanziare importazioni e spesa pubblica, cosa che permetteva l’ancoraggio della lira al dollaro dal 1997. La liquidità a disposizione delle banche libanesi veniva depositata nei conti della Banca centrale (BDL) o utilizzata per acquistare strumenti di debito. Circa il 70% degli asset bancari è legato a fondi sovrani tramite uno dei due canali. Alti tassi d’interesse spingevano gli investitori a effettuare depositi piuttosto che a reinvestire nel Paese. All’esaurirsi degli introiti esteri, con asset legati a depositi a lungo termine e a strumenti di debito a bassa liquidità, le banche non sono più state in grado di rispettare le garanzie offerte ai correntisti. Per prevenire la corsa agli sportelli, alla fine del 2019 le banche commerciali hanno fatto ricorso a sistemi di controllo del capitale sui correntisti libanesi, onde evitare il deflusso di dollari dal Paese, proibendo ogni forma di trasferimento internazionale. Uno scenario economico da inquadrare tra le decisioni di una classe politica miope, corrotta e dai complessi equilibri, che ha mancato di prendere alcuna misura per rimediare allo stato corrente delle cose.
Nuovo tasso di cambio e budget di Stato
Il 28 settembre il ministro delle Finanze, Youssef Khalil, ha annunciato che il tasso di cambio ufficiale del Paese – ancorato al dollaro dal 1997 a 1.507 lire libanesi – sarebbe passato a 15.000 lire per dollaro dal 1° novembre 2022: un primo passo verso l’uniformazione dei numerosi tassi di cambio paralleli esistenti al momento in Libano. Il Paese utilizza tassi di cambio diversi dal luglio 2022: il tasso “ufficiale” ancorato, il tasso di mercato, il tasso “Sayrafa” utilizzato dalla Banca centrale e quello impiegato per la riconversione delle rimesse.
Il tasso di cambio al mercato nero, tuttavia, raggiunge oggi le 38.000 lire per dollaro. Come riferito dal ministro dell’Economia Amin Salam, tra gli interlocutori della delegazione del FMI che ha visitato Beirut tra il 19 e il 21 settembre, parte delle trattative con il Fondo Monetario hanno riguardato proprio l’unificazione dei tassi di cambio della lira libanese con il dollaro.
La misura implicherà ripercussioni a livello economico e giudiziario. Alcuni esperti rilevano che l’uniformazione del tasso di cambio incrementerebbe gli introiti del tesoro ma rischierebbe di alzare alle stelle il tasso di cambio parallelo, incoraggiando la stampa di moneta e la crescita del tasso d’inflazione. Il probabile risultato sarebbe l’aumento del costo di beni e transazioni, del carico fiscale e del saldo di debiti contratti in dollari. Secondo Bilal Alameh, esperto di economia e finanza, si tratterebbe comunque di “un primo passo, necessario per implementare un tasso di cambio flessibile”, ammesso che seguano valide misure integrative.
Il ministero delle Finanze spiega che il processo avrà luogo in due fasi, riguardanti rispettivamente il prezzo in dollari dei beni d’importazione e il tasso di cambio ufficiale da adottare in concerto con la Banque du Liban, la Banca centrale libanese. Alcuni critici hanno però rilevato come il Ministero delle Finanze abbia successivamente condizionato l’operazione all’approvazione di un recovery plan finanziario, al momento oggetto di discussione in parlamento. In particolare, fonti informate sostengono che il fatto indichi un cedimento da parte del governo, che ha contestato il recovery plan – destinato a coprire un buco di 72 miliardi nelle casse dello Stato – fin dal 2019.
Prima ancora dell’annuncio del nuovo tasso di cambio, il 26 settembre, il parlamento libanese ha approvato il nuovo budget statale – in ritardo di nove mesi – in base al nuovo tasso.
Sblocco del bailout FMI a condizione di riforme strutturali
Il governo libanese ha intavolato trattative con il FMI già dal settembre 2020, raggiungendo un primo accordo il 7 aprile 2022. Secondo le condizioni, il governo libanese avrebbe dovuto aumentare gli introiti e finanziare un settore pubblico al collasso, sbloccando nuovi fondi per il sociale tramite il calcolo di dazi e tasse sulla base di un tasso di cambio uniforme.
Il maggiore ostacolo al bailout da 4 miliardi è la lentezza del Paese nell’implementare le riforme che ne condizionano lo sblocco. Il 21 settembre, il governo libanese si è accordato con il FMI circa la realizzazione di un pacchetto di dieci riforme mirate ad alleggerire il peso della crisi. Tali riforme includerebbero, tra le altre, la ristrutturazione del sistema bancario libanese e delle leggi di sicurezza bancaria, attraverso l’approvazione di una legge sul controllo dei capitali. Il ministro di Economia e commercio, Salam, afferma in un recente articolo: “spero che ottobre sia il ‘mese magico’ ” in cui la volontà politica favorirà l’implementazione di misure per favorire lo sblocco del bailout. Ma è proprio la volontà politica che manca alla classe dirigente libanese. Riad Salameh, governatore della Banque du Liban dal 1993, stima che al Paese servirebbero circa 12 miliardi di dollari per risanare l’economia.
Mentre si allungano le code in banca, sembra che la classe politica libanese sia ancora lontana dal mantenere le promesse ed aspirazioni dei suoi cittadini.