Tra pandemia e rilancio economico: le sfide interne dell’America
Per Biden, impegnato tra le sfide del G20 e della conferenza COP26, si aprono numerose questioni sul piano della politica interna. Le previsioni economiche sembrano positive, ma il Covid continua a preoccupare e il piano per il rilancio deve ancora passare al Congresso.
“America is back”. La frase che Biden ama ripetere sin dal suo insediamento sembra essersi avverata, almeno in parte. La pace con l’Europa è praticamente fatta: non ci saranno più dazi sull’acciaio e sull’alluminio; con Macron le cose si sono rasserenate, dopo le scuse statunitensi per il comportamento maldestro; e anche con Erdogan è sembrato vedersi qualche miglioramento. Anche se non bisogna dimenticare che durante gli incontri internazionali i sorrisi e le parole concilianti sono d’obbligo.
Il 46° Presidente degli Stati Uniti ha avuto risultati abbastanza positivi, nei bilaterali, e il Papa gli ha anche concesso di prendere la comunione, sebbene la sua visione sull’aborto sia piuttosto liberale. Quanto alle questioni ambientali, la situazione è più complessa. I Grandi della terra, al G20, non hanno raggiunto un vero e proprio accordo, impegnandosi, però, a mantenere l’aumento di temperatura sotto 1,5 gradi e a raggiungere il traguardo “zero emissioni” entro o attorno la metà del secolo, una data molto più vaga dello sperato 2050. Tuttavia, sarà la COP26, che ha avuto inizio il 2 novembre, a darci risposte più certe sulla questione. Alla fine della Conferenza, Biden tornerà a casa, dove la situazione non è certo delle migliori.
Da un punto di vista strettamente politico, ci sono le tensioni interne al partito democratico. Prima della partenza per l’Europa, il Presidente aveva sperato di avere la conferma del Congresso al suo ambizioso piano di rilancio Build Back Better Framework che, nelle parole della stessa Casa Bianca, permetterà agli Stati Uniti “di raggiungere i suoi obiettivi climatici, di creare milioni di posti di lavoro ben pagati e di far crescere l’economia.”[1] In origine, il piano prevedeva una manovra da $3,5 trilioni da dedicare alla scuola, al mondo del lavoro, alle questioni ambientali, all’assistenza sanitaria, alla riforma fiscale e ad una più equa tassazione sui grandi redditi. Oltre alla prevedibile opposizione del Partito repubblicano, Biden ha dovuto fare anche i conti con il dissenso di alcuni esponenti del suo partito. Al Senato, i seggi sono divisi equamente tra democratici e repubblicani (50-50) ed è il voto della Vicepresidente Kamala Harris a far pendere l’ago della bilancia a favore del suo partito. Se anche un solo democratico è contrario, qualunque piano dell’Amministrazione non può diventare legge. In questo caso, i dissidenti erano due: il senatore Joe Manchin del West Virginia e la senatrice Kristen Sinema dell’Arizona. La manovra, dunque, è stata dimezzata a $1,75 trilioni, di cui $555 miliardi dedicati alle questioni climatiche[2]. La questione non si è ancora risolta, anche se un accordo sembra vicino.
I guai di Biden con i suoi compagni di partito, però, erano cominciati a fine maggio, quando il senatore Sanders e le rappresentanti Ocasio-Cortez e Tlaib avevano aspramente criticato l’intervento israeliano a Gaza e chiesto un taglio nella vendita di armi ad Israele[3].
A questo, si aggiunge il calo dei consensi, che raggiungono un preoccupante 42,9%. Un declino dovuto a più cause tra cui va menzionato il ritiro dall’Afghanistan, sebbene già deciso dal predecessore. La situazione turba i democratici soprattutto in relazione alle elezioni per il governatore in Virginia e in New Jersey, svoltesi il 2 novembre. I risultati della Virginia hanno visto vincitore il repubblicano Glenn Youngkin, mentre in New Jersey è stato riconfermato il democratico Phil Murphy per un pugno di voti, contrariamente alle previsioni che lo davano vincitore a larga maggioranza. L’avversario Cittarelli, comunque, ha già contestato il risultato. La vittoria di Youngkin è un chiaro segno dei problemi che potrebbero dover affrontare i democratici il prossimo anno nel tentativo di mantenere il controllo della Camera dei Rappresentanti e del Senato, viste anche le leggi che in alcuni Stati limitano l’accesso al voto degli afroamericani e ad altre minoranze. Anche la risicata maggioranza di Murphy, tuttavia, non è buon segno. In entrambi gli Stati, infatti, che avevano votato Biden alle presidenziali, significa che i democratici hanno perduto molte delle preferenze.
Passando alla situazione del Paese durante la pandemia, le cause di preoccupazione aumentano. Le misure adottate al principio sono state, quanto meno, enormemente diverse nei vari Stati. Tutto questo ha causato un tasso di contagio altissimo e la morte, dato aggiornato al 1° novembre, di quasi 750 mila persone. La situazione sembrava sotto controllo, ma l’arrivo della variante Delta ha complicato le cose.
La pandemia è giudicata dagli esperti come “la più grave crisi che gli Stati Uniti hanno dovuto affrontare dalla II Guerra mondiale”[4] e il Presidente ha reso obbligatorio il vaccino per tutti i lavoratori federali e quelli delle aziende con più di cento dipendenti ed è stato introdotto il vaccino per i bambini dai 5 anni in su.
Il Covid19 ha creato anche gravi problemi economici e di disoccupazione, colpendo maggiormente i gruppi sociali più deboli, come del resto è accaduto nel mondo. L’OCSE, tuttavia, ha previsto per gli USA una crescita del PIL del 6,9% nel 2021 e del 3,6% nel 2022. È stato inoltre approvato un piano di 1.900 miliardi di dollari in aiuti Covid e la Casa Bianca e il Congresso stanno negoziando un programma bipartisan sulle infrastrutture da 1.200 miliardi di dollari e una manovra incentrata sul rafforzamento delle protezioni sociali il cui budget, proposto dai democratici, è di 3.500 miliardi di dollari.
Nonostante le prospettive economiche siano positive, però, è il tessuto sociale americano ad essere profondamente logorato. Numerosi analisti d’oltreoceano commentano le circostanze con una certa preoccupazione, arrivando ad affermare che l’America si trova “davanti ad uno specchio, ad osservare la parte oscura di se stessa”[5] o che è un Paese “dove una tribù è in conflitto con l’altra.”[6]
Tale logoramento era già presente prima dell’era Trump; anzi, la sua vittoria è stata una conseguenza del distacco della classe dirigente democratica dalle necessità di buona parte dei suoi elettori, soprattutto i cosiddetti rural voters e working-class voters. Non si può negare, tuttavia, che le fratture già esistenti si siano approfondite durante la presidenza Trump e dalla trasformazione di una larga parte del partito repubblicano in un partito populista.
La stessa pandemia e la sua gestione sono state causa di profonda divisione, tra gli americani, sul piano politico e ideologico: le misure di protezione per i cittadini sono diventate motivo di scontro, talvolta anche violento, tra repubblicani e democratici e, ancora oggi, alcuni esponenti di spicco del partito repubblicano incitano il pubblico alla rivolta contro l’obbligo vaccinale imposto dal presidente Biden.
Il 2020, inoltre, non è stato soltanto l’anno della pandemia. La morte di George Floyd, causata da un agente di polizia, è stata una sorta di “ultima goccia” che ha fatto traboccare il vaso delle tensioni sociali e razziali. Milioni di americani, di tutti i livelli della società, hanno protestato per mesi in varie città, evidenziando la forte polarizzazione dei cittadini, e le violenze sono state numerose. Secondo un sondaggio della Gallup di quest’anno, la percentuale di americani preoccupati per le tensioni razziali ha raggiunto un livello record del 48%, il 17% in più rispetto all’anno precedente[7]. Nel frattempo, l’agente Chauvin è stato riconosciuto colpevole della morte di Floyd e condannato a 22 anni e 6 mesi di prigione; è la prima volta che un poliziotto bianco del Minnesota viene condannato per un omicidio commesso in servizio.
La violenza della polizia nei confronti delle persone di colore non è una novità, negli USA. Secondo i dati forniti dal Washington Post, gli afroamericani costituiscono circa il 13% della popolazione ma tra di loro il tasso di morte causata dalla polizia è doppio rispetto a quello dei bianchi[8].
È purtroppo una verità che, durante il quadriennio 2017-2021, la risposta alle proteste per la giustizia razziale è stata piuttosto negativa, ma il discorso inaugurale di Biden dovrebbe far ben sperare: “Ci muove un grido per la giustizia razziale che dura da 400 anni. Il sogno della giustizia per tutti non sarà ritardato più a lungo” ha affermato il presidente. Intanto, però, vari tentativi per limitare i diritti di voto delle minoranze sono in atto in Texas, in Georgia, in Montana e in un’altra dozzina di Stati.
Anche l’OCSE rileva la disparità esistente tra diversi gruppi sociali, etnici e razziali, sottolineando che la pandemia ha colpito negativamente alcuni gruppi specifici quali i giovani, le persone con un più basso livello di istruzione, gli afroamericani, gli ispanici, gli indiani americani e i nativi dell’Alaska. Tra le raccomandazioni più importanti c’è quella di diminuire l’ampio divario esistente per quanto riguarda l’istruzione e l’accesso alla sanità.
Menzioniamo per ultima una questione che solo di recente ha ricevuto un maggiore interesse da parte delle autorità statunitensi: quella del cosiddetto “terrorismo interno”. Anche se gruppi appartenenti soprattutto all’estrema destra sono noti da vari anni e la cosiddetta alternative right, meglio nota come AltRight, ha avuto un periodo di grande popolarità e forza durante la presidenza Trump, un vero e proprio punto di svolta è stato l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Com’è ben noto, gruppi e movimenti di diverse appartenenze hanno preso d’assalto il simbolo stesso della democrazia americana; considerando la vittoria di Biden illegittima e volendo impedire al Congresso di certificare i risultati delle elezioni presidenziali. In un sondaggio condotto nel 2021 dall’American Enterprise Institute, è stato chiesto se, vista la velocità in cui i tradizionali valori del modo di vivere americano stanno scomparendo, si dovrà ricorrere alla forza per salvarli. Il 36% degli americani, e un sorprendente 56% di repubblicani, ha risposto di sì.
L’11 maggio di quest’anno, il procuratore generale, Merrick B. Garland, e il segretario della Homeland Security Alejandro N. Mayorkas hanno testimoniato davanti al Appropriations Committee del Senato che “la più grave minaccia interna che gli Stati Uniti devono affrontare è quella degli estremismi violenti” e in particolare “di coloro che sostengono la superiorità della razza bianca”. Il terrorismo interno è stato inoltre giudicato più pericoloso di quello jihadista. È la prima volta, nella storia degli Stati Uniti, che un presidente annuncia una strategia nazionale specifica per combattere tale minaccia. Tra i punti evidenziati come causa dell’escalation della violenza suprematista, figurano il razzismo e il pregiudizio cronici; si sottolinea inoltre l’importanza di promuovere un’adeguata formazione per rispondere alla disinformazione e all’odio.
Tra i vari gruppi che hanno partecipato all’attacco del 6 gennaio - Boogaloo Boys, Proud Boys, Three-Percenters ed altri variamente libertari, suprematisti, neonazisti, antisemiti e islamofobici - sembra interessante segnalare il movimento QAnon, per un certo periodo presente soprattutto sul web ma ormai diventato attivo anche nel mondo reale.
Le questioni economiche derivate dalla pandemia non sono, dunque, le uniche cui gli USA si trovano di fronte. Anche se non è certo la prima volta nella storia che gli Stati Uniti devono affrontare problemi legati al razzismo e al suprematismo bianco, questa volta tali problemi sembrano più preoccupanti. Il presidente Biden e la sua amministrazione ne sono pienamente consapevoli: i primi passi verso la loro risoluzione sono già stati già fatti e, certamente, altri sono in preparazione. Alcune di tali questioni, inoltre, sono simili a quelle con cui devono avere a che fare altri Paesi del mondo, comprese quelle relative ad un inasprirsi delle ideologie estremistiche e alle teorie complottiste.
Ormai da qualche anno, numerosi analisti lamentano la crisi delle democrazie occidentali e segnalano il rischio di una svolta verso l’autoritarismo di vari Paesi. Lo stesso Biden, nell’agosto di quest’anno, ha invitato i leader mondiali ad un summit sulla democrazia, che dovrebbe tenersi virtualmente il 9 e 10 dicembre prossimi.
Sarebbe auspicabile che tutti i Paesi dell’Occidente riuscissero ad impostare una collaborazione a lungo termine per monitorare e difendere i valori democratici che li caratterizzano.
[1] www.whitehouse.gov/build-back-better/
[2] https://www.washingtonpost.com/us-policy/2021/10/27/biden-democrats-spending-deal/
[3] https://eu.usatoday.com/story/news/politics/2021/05/20/sanders-follows-aoc-tlaib-objecting-us-arms-sale-israel/5179770001/
[4] https://www.nbcnews.com/politics/meet-the-press/america-failing-handle-its-worst-crisis-80-years-n1191676
[5] https://aspeniaonline.it/america-in-the-mirror-looking-at-its-dark-side/
[6] https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2021/07/george-packer-four-americas/619012/
[7] https://news.gallup.com/poll/341954/record-high-worry-hunger-race-relations.aspx?utm_source=alert&utm_medium=email&utm_content=morelink&utm_campaign=syndication
[8] https://www.washingtonpost.com/graphics/investigations/police-shootings-database/