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Tra Pechino e Washington, la competizione sull’elettrico si gioca anche a Rabat

Gli obiettivi industriali del Marocco corrono il filo della sfida USA-Cina. Il punto di Francesco Meriano

Il primo novembre 2024, Gotion Power Morocco – filiale della holding cinese Gotion High Power – ha annunciato la costruzione di un impianto eolico da 500 MW e dal valore di 800 milioni di dollari. L’impianto, parte di un più ampio progetto da 1,8 miliardi, sarà realizzato dalla saudita ACWA Power e alimenterà un polo industriale Gotion per la componentistica delle auto elettriche a Kenitra, che secondo l’azienda sarà operativo entro il 2026. La capacità dell’impianto, pari a 20 GW/h a inizio operazioni, punterà a raggiungere i 100 GW/h attraverso investimenti proiettati a 6,5 miliardi di dollari.

L’elettrico si conferma, su questo sfondo, settore di punta della cooperazione Cina-Marocco. Nell’ultimo anno, Hailang, Shinzoom e BTR New Materials Group avevano già annunciato progetti per la realizzazione di tre fabbriche di componentistica a Tangeri, dove massicci investimenti cinesi accelerano lo sviluppo di un parco industriale da 470 ettari: un quarto impianto EV sarà intanto realizzato presso Jorf Lasfar, a sud di Casablanca, da CNGR Advanced Materials. Partenariati, questi, che la riconquista della Casa Bianca da parte di Donald J. Trump contribuirà con tutta probabilità a rinsaldare.

La partita si preannuncia serrata. Convinto climate skeptic, Trump ha spesso reiterato critiche all’industria EV e profilato la rimozione dei sussidi governativi per gli acquirenti di auto elettriche, ritenendo che il settore, oltre che inefficiente, sia anche un viatico alla penetrazione di Pechino nei mercati statunitensi. Interessato a stimolare la produzione di idrocarburi attraverso la tutela delle tradizionali marche a benzina, a inizio febbraio Trump ha imposto dazi aggiuntivi del 10% sulle merci della Repubblica popolare – sulla scia del predecessore Biden, che nel 2024 aveva aumentato dal 27 al 100% i dazi sui veicoli elettrici cinesi. Non ha tardato a adeguarsi l’UE, che lo scorso ottobre (sulla scia di un’industria automobilistica in caduta libera) ha inaugurato analoghi dazi a un tetto del 38%.

L’allargarsi dell’ondata protezionista, d’altro canto, spinge la Cina a riorientare le proprie catene di fornitura, candidando il Marocco ad arena chiave nel duello commerciale sino-americano. Il regno alawide, che ospita stabilimenti industriali di Stellantis e Renault, rientra tra i campioni dell’automotive africano e gode di vantaggi competitivi attraverso gli accordi di libero scambio sottoscritti, in parallelo, con gli USA e con l’Unione Europea – della quale è divenuto, nel 2024, il principale esportatore di auto elettriche grazie alle forniture a Spagna, Italia e Francia. Tassello finale è la membership marocchina in seno all’African Continental Free Trade Area (AfCFTA), che rende Rabat snodo nevralgico tra i mercati europei, la sponda atlantica e l’Africa subsahariana.

Particolarmente appetibile anche la politica energetica del regno: virtualmente privo di idrocarburi, il Marocco ha inaugurato un ambizioso programma di diversificazione, che punta a coprire il 52% del fabbisogno nazionale tramite rinnovabili entro il 2030. Condizioni favorevoli per i campioni cinesi del settore EV, alla ricerca di potenziali entrate di servizio nei mercati europei e nordamericani, e accolte dallo stesso Marocco – il cui export di automobili sarà coperto al 60% da auto elettriche entro il 2030, sulla scia della (prevista) discontinuazione dei veicoli a benzina nell’UE per il 2035.

Ma incoraggiano la penetrazione cinese anche le vaste riserve di fosfati marocchine, cardine dell’industria alawide del fertilizzante e utilizzabili per la realizzazione di batterie. Per non parlare dei giacimenti di tellurio, cobalto e nickel, fondamentali agli obiettivi di transizione energetica e rilevati tra le acque del Sahara occidentale e le isole Canarie, il cui incerto status territoriale – fonte di frizioni tra Rabat e Bruxelles – apre spiragli strategici a Pechino. Non è un caso che la visita del presidente cinese Xi Jinping in Marocco, lo scorso 22 novembre, abbia seguito di pochi giorni tanto la vittoria elettorale di Trump quanto l’ufficializzazione del divieto, imposto alla Commissione europea dalla CGUE, di includere il Sahara occidentale in futuri accordi commerciali con Rabat.

Due, su questo sfondo, le grandi incognite del gioco. In primo luogo, il legame tra Marocco e Stati Uniti. Vincolo geopolitico, che dal 2020 vede gli USA farsi principali sponsor delle ambizioni marocchine sul Sahara occidentale (conteso agli indipendentisti sahrawi del Fronte Polisario) in cambio dell’acquiescenza di Rabat a normalizzare i rapporti con Israele; vincolo economico, in virtù del quale il Marocco costituisce il principale recipiente africano di finanziamenti statunitensi e gode di accesso preferenziale alle linee di credito di Fondo monetario internazionale e Banca mondiale; vincolo militare, in quanto le armi USA – equivalenti al 69% delle importazioni marocchine per la difesa – rappresentano il principale contrappeso al supporto russo e cinese di cui gode l’Algeria, storica rivale di Rabat e sostenitrice del Polisario nella lotta per il Sahara. Fautrice di una politica estera pragmatica e aperta a partenariati di segno diverso, Rabat rischia di dover gestire un delicato gioco di equilibrio tra le ouverture cinesi e la rinnovata ostilità del patron statunitense nei confronti di Pechino.

Secondo (e non per importanza), il fattore Musk. Già finanziatore chiave della campagna elettorale di Trump, a inizio 2025 l’imprenditore – già tra gli uomini più ricchi del pianeta – ha raccolto i frutti del proprio attivismo politico con la nomina a capo di un’agenzia federale di vaste (e plastiche) competenze, mentre gli stock della sua Tesla – leader indiscussa dell’EV statunitense – sono vertiginosamente cresciuti dall’insediamento alla Casa Bianca del nuovo presidente. Ma non mancano i rischi.

La scommessa è che il sodalizio con Trump continui a pagare i dividendi attesi, a dispetto dell’ostilità dimostrata da quest’ultimo all’avanzare della mobilità elettrica. Significativo, a questo proposito, che il presidente repubblicano si sia limitato, a inizio febbraio, a colpire la Cina con dazi del 10%: misura contenuta rispetto al 60% invocato in campagna elettorale, a possibile tutela degli interessi di Tesla sul (cruciale) mercato EV cinese. D’altra parte, la vicinanza a Trump profila ostacoli squisitamente politici per Musk, che fatica ad ottenere un’agognata patente per la produzione di automobili full self driving nella Repubblica popolare: traguardo che Pechino potrebbe utilizzare quale leva negoziale per indurre la Casa Bianca a più miti consigli.

I rapporti Cina-USA informeranno, in questo quadro, la riconfigurazione degli equilibri commerciali marocchini. Una parziale riconciliazione sul dossier EV – potenzialmente mediata attraverso Tesla – faciliterebbe il raggiungimento di un modus vivendi sino-americano in Marocco. Mentre l’annunciata recrudescenza della guerra commerciale potrebbe rischiare di piazzare le ambizioni industriali di Rabat tra l’incudine e il martello.

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Africa e Artico il tesoro conteso delle materie prime

Riproponiamo l'articolo di Enrico Casini, Direttore dell'U.O Comunicazione della Med-Or Italian Foundation, pubblicato da "Il Mattino" il 2 Marzo 2025

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Comunicati stampa

Med-Or a Rabat per l’evento “Higher Education, Research and Innovation collaboration between Morocco and Italy”. Presente il Ministro Anna Maria Bernini

Iniziativa promossa dal Ministero italiano dell’Università e della Ricerca (MUR), dalla Fondazione Med-Or, dal Ministero marocchino dell’Istruzione Superiore, della Ricerca Scientifica e dell’Innovazione, dall’Università Mohammed VI Polytechnique e dall’Ambasciata d’Italia a Rabat.

Presenti all’evento il Ministro italiano dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, il Ministro marocchino dell’Istruzione Superiore, della Ricerca Scientifica e dell’Innovazione, Abdellatif Miraoui, e l’Ambasciatore d’Italia a Rabat, Armando Barucco.

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