Turchia e UE: la partita di Ankara e il dilemma dell’Europa
Ankara chiama, Bruxelles risponde. Ma a quale prezzo? Il 14 gennaio 2025, il Ministro degli Esteri turco Hakan Fidan ha incontrato a Istanbul gli ambasciatori dell'Unione Europea. Una stretta di mano, dichiarazioni di rito, il consueto lessico diplomatico: rispetto reciproco, interessi condivisi, valori comuni. Ma dietro le parole resta l’eterno interrogativo: la Turchia vuole davvero l’Europa? E l’Europa è disposta ad accogliere la Turchia?
Il dossier turco è una delle questioni più sospese della politica europea. La domanda di adesione risale al 1987, lo status di candidato è fermo dal 1999, i negoziati, aperti nel 2005, sono stati bloccati nel 2016. Un rapporto che esiste, ma non si realizza. Un legame che resiste, ma non si consolida.
C’è qualcosa di irreversibile in questa distanza. La Turchia di Erdogan – sempre più protagonista nei teatri di crisi, dalla Libia al Caucaso, sempre più assertiva nella sua politica interna e sempre più determinata nel rafforzare le sue alleanze alternative – non sembra il Paese che Bruxelles aveva immaginato come futuro membro dell’Unione. Eppure, è un partner imprescindibile. Perché l’UE non può fare a meno della Turchia in materia di sicurezza, energia e migrazione. Perché Ankara è un ponte strategico tra Occidente e Oriente. E perché, piaccia o no, la geopolitica ha le sue esigenze, che spesso sfidano i principi su cui l’Unione dice di fondarsi.
Fidan non ha nascosto la frustrazione turca. L’UE – ha detto più volte – non può pretendere che Ankara resti sospesa in un’attesa senza fine. E così la Turchia ha iniziato a guardarsi intorno. I BRICS, l’ASEAN, l’Africa, il Medio Oriente: lo scenario è già cambiato. E Bruxelles sa che perdere Ankara – o lasciare che si allontani senza un piano chiaro – significa ridurre la propria influenza in un’area strategica.
Marta Kos, Commissario europeo per l’Allargamento, ha ripetuto che nessun allargamento può prescindere dai principi democratici e dallo Stato di diritto. Ma è un equilibrio fragile. Perché la realpolitik suggerisce che non si possono escludere potenze regionali con un ruolo determinante negli equilibri globali. E perché la storia recente ci insegna che, davanti alle emergenze, l’UE è spesso costretta a compromessi che ieri sembravano inaccettabili.
Così resta la domanda: questa è una trattativa o un dialogo tra sordi? L’UE chiede garanzie sui diritti e sulle libertà, Ankara rivendica rispetto e pragmatismo. Entrambe parlano di futuro, ma con significati diversi. In mezzo, il mondo che cambia. E un’Europa che deve decidere se vuole essere spettatrice o protagonista.