Un nuovo paradigma
L’immigrazione non è un’emergenza. L'intervento del Presidente di Med-Or Marco Minniti al Florence Mediterranean Mayor's Forum.
Innanzitutto, grazie. Grazie per l’invito al Sindaco Nardella, grazie ai sindaci del Mediterraneo e alla Conferenza Episcopale per avere pensato questa bellissima iniziativa.
D’altro canto, parliamo di migrazioni in questa sessione e sappiamo perfettamente che i sindaci sono la prima linea nella gestione dei grandi flussi migratori in Italia, in Europa, nel Mediterraneo allargato, dappertutto. E sono quelli che sono chiamati a gestire una questione che è insieme delicatissima e tuttavia straordinariamente importante per gli equilibri del pianeta.
È evidente che, nel momento che siamo chiamati qui a discutere da cittadini del mondo, non possiamo non guardare a quello che sta avvenendo nel cuore dell’Europa, in Ucraina, a Kiev.
C’è qualcosa di sconvolgente se ci pensate. Aggiungo io, quello che sta avvenendo in Ucraina, a Kiev, è una di quelle cose che cambiano il corso della storia del mondo.
Noi oggi siamo protagonisti di questa vicenda. Non ce ne rendiamo conto perché siamo contemporanei, ma un giorno, quando si scriverà sui libri di storia, questo sarà uno spartiacque della storia, perché dall’esito di questa vicenda dipenderanno molte cose. Nella costruzione, nello sviluppo dell’Europa, nel rapporto tra l’Europa e il Mediterraneo allargato, che è il tema sul quale oggi discuteremo.
In questi giorni, come probabilmente molti di voi, ho visto in televisione le immagini dell’Ucraina, di Kiev, del Presidente Zelensky che lanciava quei messaggi drammatici.
A un certo punto, tuttavia, mi è andato l’occhio su una piccola, piccolissima notizia: la notizia veniva dal Centrafrica e parlava di un’organizzazione non governativa del Centrafrica che in quel momento era circondata da contractors della Wagner. Per chi non lo sapesse, i contractors della Wagner sono russi. E qualcuno mi potrebbe dire “ma com’è possibile questa connessione”? Si, è possibile, perché nell’idea della riaffermazione di un approccio imperiale della Russia c’è una connessione tra l’Europa e quello che avviene nel Nord Africa, in Libia, in Sahel, fino al centro Africa.
Ed è evidente – così come ci è stato richiamato drammaticamente dal fatto che i nostri due interlocutori, Antonio Vitorino e Filippo Grandi, hanno lasciato questo nostro incontro per andare a fare una riunione alle Nazioni Unite sul tema del rischio di una crisi umanitaria drammatica nel cuore dell’Europa – che il primo effetto di una guerra è il fatto che possano esserci forse centinaia di migliaia di profughi che lasciano un paese in guerra.
Avete presente le immagini di quelle enormi file di macchine di cittadini che stanno lasciando Kiev? Kiev è una grande capitale europea. Sembravano immagini di 80 anni fa.
Allora c’erano meno macchine e spesso si vedevano carri trainati da cavalli o dai buoi ma le immagini erano le stesse. Ed è evidente che l’Europa, il mondo, le Nazioni Unite, non possono non farsi carico di quella crisi umanitaria ed è opportuno che Grandi e Vitorino ci abbiano lasciato per fare una riunione non dico più importante, ma immediatamente operativa rispetto a quello di cui stiamo discutendo.
E se questo è il quadro, cioè di uno scenario che tiene insieme l’Europa, il cuore dell’Europa, e il Mediterraneo, dobbiamo fare un ragionamento semplicissimo, che cercherò di essere veloce nel descrivere nella maniera più semplice possibile.
La prima cosa è questa: le migrazioni non sono un’emergenza. Dobbiamo toglierci dalla testa questa idea, ovvero di tenere insieme migrazioni ed emergenza.
Le migrazioni sono un dato strutturale del pianeta, hanno accompagnato il mondo, lo stanno accompagnando e lo accompagneranno anche in futuro. Il movimento dei popoli è un elemento fondamentale della vita. Può darsi che in futuro avremo un ulteriore problema che deriva dalla differenza che c’è nell’andamento demografico dei continenti. L’Europa è un continente che demograficamente cresce poco o addirittura ha una crescita negativa, che ha di fronte, dall’altra parte del Mediterraneo, un continente, l’Africa, che cresce in maniera tumultuosa dal punto di vista demografico. Questo è un grande tema che non può essere esorcizzato, va governato.
Poi abbiamo un altro grande tema, che è quello dei cambiamenti climatici.
Noi potremmo trovarci di fronte fra 5, 10, 20 anni, al fatto che alcune parti del mondo per i cambiamenti climatici potrebbero diventare non più ospitali per l’uomo. Potremmo avere delle parti di terraferma che verranno sommerse dall’acqua, un cambiamento epocale.
Poi c’è un terzo fattore, questo invece positivo: una parte delle nuove generazioni si sentono già adesso cittadini del mondo, e nessuno può obbligarli a rimanere vincolati dentro un paese perché si sentono già adesso cittadini del mondo. Sono interconnessi con il mondo.
Allora, se l’immigrazione non è un’emergenza ma è un grande problema strutturale del pianeta, ha bisogno di politiche strutturali, non di politiche emergenziali.
Questo è il cuore della questione, bisogna cambiare radicalmente approccio, una volta in filosofia si sarebbe detto che bisogna cambiare paradigma. Non sono un’emergenza.
E se appunto non è un’emergenza, ma un dato strutturale del pianeta, dobbiamo capire che per affrontare questo tema non basta l’azione di un singolo paese.
Se noi guardiamo al Mediterraneo allargato dobbiamo capire che il soggetto di intervento nel Mediterraneo allargato non è l’Italia, non è la Francia, non è la Germania, non è la Polonia, ma il soggetto non può che essere l’Europa. Perché appunto di fronte a un grande tema strutturale c’è bisogno di una taglia, di una forza, di qualcuno che abbia anche una capacità di mettere in campo risorse umane, economiche e di visione.
Se questo è il tema, noi dobbiamo innanzitutto dire una cosa, che tutto questo ha un impatto diretto in quello che è oggi il Mar Mediterraneo.
Ma cos’è il Mediterraneo oggi? Se ci pensate bene è il mare che congiunge due continenti: l’Europa e l’Africa.
La mia convinzione è che nei prossimi anni il futuro dell’Europa si giocherà per la gran parte in Africa. Anzi, uso un termine ancora più impegnativo: nei prossimi anni l’Africa sarà lo specchio dell’Europa. Se l’Africa starà bene, l’Europa starà bene, se l’Africa starà male, l’Europa starà male, e non ci sono muri che possano essere eretti, perché i muri sono fatti per essere abbattuti.
Se qualcuno avesse l’idea che l’obiettivo o la possibilità di difendersi dall’immigrazione è quello di costruire muri sta sbagliando tutto, perché il muro, poi, favorisce la guerra, e quello che sta avvenendo a Kiev sia una lezione per tutti.
E se questo è il senso, un grande continente come l’Europa non può accettare, che, per esempio, l’immigrazione venga utilizzata come uno strumento, come un’arma, di carattere geopolitico.
Vedete, noi stiamo parlando adesso dell’Ucraina, stiamo parlando di Kiev, ma qualche mese fa, a novembre dello scorso anno, c’è stata la drammatica vicenda del bosco di Białowieża.
Non so quanti di voi se la ricordano, di quelle migliaia di migranti arrivati in Bielorussia e poi spinti verso il confine con la Polonia. Era evidente l’idea di utilizzare i migranti come un’arma geopolitica. Quei migranti del bosco di Białowieża li abbiamo lasciati soli. Lì è venuta fuori tutta la fragilità dell’Europa. L’Europa deve comprendere, e lo dico qui con grande chiarezza, che deve darsi una strategia sull’immigrazione e non può rincorrere gli eventi.
E qui vengo a quella che secondo me deve essere una strategia per l’immigrazione, che deve essere fondata su tre pilastri.
Il primo pilastro: l’Europa deve dotarsi di un importante piano di investimento verso i paesi di partenza e di transito dei flussi migratori. Quando dico “importante” vorrei che avessimo anche un’idea delle cifre. L’Europa negli ultimi anni ha investito 6 miliardi di euro nel rapporto con la Turchia. È possibile pensare che una cifra analoga possa essere utilizzata dall’Europa verso i paesi dell’Africa settentrionale, dell’Africa centrale, del Mediterraneo allargato, costruendo con loro un rapporto che punti a pensare che quegli investimenti devono servire per la stabilizzazione democratica, la crescita sociale economica e civile, la formazione, la sicurezza sanitaria?
La differenza che c’è tra un Migration Compact dichiarato e quello di cui sto parlando io è esattamente questo: immediata individuazione dei fondi e rapidità nella spesa.
Perché in questo campo il fattore tempo è fondamentale e determinante.
Su questa base, ripensare e costruire dei rapporti bilaterali con i paesi di partenza e di transito.
Accordi bilaterali che dicono fondamentalmente due cose, di cui la prima è questa: se c’è una persona che scappa da una guerra, quelle persone vengono portate in Europa dalle grandi democrazie europee, non dai trafficanti di esseri umani.
Questo vuol dire costruire e generalizzare i corridoi umanitari per quelli che hanno diritto alla protezione internazionale: è un principio, se ci pensate bene, di dignità non soltanto della persona ma della comunità internazionale.
Deve farlo l’Europa, d’intesa con le Nazioni Unite, d’intesa, per quanto riguarda l’Africa, con l’Unione Africana. Deve farlo innanzitutto partendo da un’emergenza drammatica – questa sì è un’emergenza – che è quella di svuotare i centri di detenzione in Libia. Vanno svuotati con i corridoi umanitari.
Secondo aspetto: costruire canali legali per l’immigrazione economica. Questo significa “avere un rapporto bilaterale” con i paesi di partenza e stabilire le quote di ingresso, che vengono stabilite tra il paese di partenza e il paese di accoglienza. Vengono gestite dalle ambasciate e non dai trafficanti di esseri umani.
È chiaro qual è il tema: canali legali. Questo significa cambiare in parte anche la legislazione di vari paesi europei, primo fra tutti l’Italia, perché è evidente che la legge che ha l’Italia per il governo dei flussi migratori non è all’altezza di questa sfida. È una legge di vent’anni fa, dentro un’altra dimensione.
Corridoi umanitari e canali legali, il tutto attraverso un impegno diretto delle organizzazioni delle Nazioni Unite. Abbiamo sentito qui l’IOM, l’UNHCR, che stanno facendo un lavoro straordinario. Vorrei cogliere l’occasione anche a nome vostro di ringraziarli per il lavoro che stanno facendo.
E tuttavia si tratta, anche insieme con i governi europei, di assumersi delle responsabilità.
Faccio qui una proposta molto elementare. Negli accordi bilaterali si stabilisce, per esempio in Libia, che i centri di accoglienza dei migranti non sono più centri di detenzione ma di accoglienza, e che in Libia vengono gestiti direttamente dalle Nazioni Unite. È possibile farlo? Sì, perché è evidente che nel momento in cui proponi un piano di investimento economico di sostegno a quei paesi devi essere anche particolarmente esigente sul rispetto dei diritti umani.
Si chiama tecnicamente “diplomazia esigente”: io sono pronto, mi assumo le responsabilità a darti una mano, ti chiedo di adeguarti agli standard di rispetto dei diritti umani che sono propri della comunità internazionale.
Infine, e rapidamente concludo, noi abbiamo bisogno che tutto questo abbia un’unica cabina di regia.
C’è bisogno di un piano d’investimento dell’Europa, c’è bisogno di un ruolo delle organizzazioni delle Nazioni Unite, c’è bisogno di un ruolo dell’Unione Africana.
Voi mi direte “ma questa cosa è difficilissima”. No, abbiamo avuto dei momenti in cui tutto questo ha “funzionato” anche in realtà difficilissime e delicatissime del Nord Africa.
Consentitemi, infine, di fare un rapidissimo ragionamento su un tema a cui sono particolarmente legato. Io so che qui ci sono sindaci di varie città e capitali del Mediterraneo.
Consentitemi da italiano, per quel poco che valgo, di fare un ringraziamento alle città del Mediterraneo per il lavoro straordinario di accoglienza che hanno fatto in questi anni per i rifugiati che hanno attraversato il nostro mare.
Un lavoro straordinario e spesso nemmeno adeguatamente valorizzato.
I sindaci non possono essere lasciati soli in questa partita, per una ragione semplicissima, perché i sindaci rappresentano la prima linea del rapporto con la gente. E so perfettamente che quando ad un sindaco si pone un problema, e gli si mette di fronte un’alternativa tra sicurezza della comunità e umanità, lo si mette di fronte a quello che potrebbe apparire “un dilemma del diavolo”. Ma non è né un dilemma né un dilemma del diavolo, perché una comunità che si rispetti non consente a nessuno di mettere in conflitto sicurezza ed umanità.
Compito non dei sindaci, compito della comunità internazionale, compito dell’Europa è impedire che ci siano cattivi maestri che dicano “io ti do un pochino più di sicurezza e tu rinunci a un po’ della tua umanità”, perché quando una comunità è portata a dover scegliere tra sicurezza e umanità sta perdendo se stessa. E io so questo che vuol dire, per un sindaco chiamato personalmente e direttamente a rispondere.
Infine, di fronte a questa partita, noi sappiamo perfettamente che appunto perché le migrazioni non sono un’emergenza esse vanno governate e vanno governate dentro un quadro di sviluppo e di crescita del Mediterraneo.
Oggi più che mai il Mediterraneo deve tornare ad essere quello che pensava un grande storico francese, Fernand Braudel: un centro del mondo e, contemporaneamente, un centro della civiltà.
Il Mediterraneo, il “Mare nostrum”, in futuro sarà sempre più decisivo per la sicurezza e gli equilibri del pianeta. Dobbiamo esserne consapevoli. E quel “nostrum” diventerà chiave fondamentale per la stabilità, la crescita sostenibile e la sicurezza del pianeta.