Voci di donne dal 7 ottobre
Il 4 marzo 2025, nei saloni della Biblioteca Nazionale dell’ebraismo italiano, si è tenuta una conferenza dal titolo: “Voci di donne dal 7 ottobre”. Il racconto di Settimo Cerniglia

Sul palco, a inaugurare la giornata, Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Unione della Comunità Ebraiche Italiane. Parole misurate, ma nette: la memoria non è solo esercizio di celebrazione, ma una necessità per comprendere il presente e non tradire il futuro. E la memoria, qui, non è una favola da raccontare ai bambini, ma una lunga catena di tragedie. I libri conservati in questa biblioteca non sono solo carta e inchiostro, ma testimoni muti di una storia millenaria, di una presenza ebraica in Italia che ha dato molto al Paese. Ma il motivo per cui questa sala è piena non è solo la celebrazione della cultura, bensì l’urgenza della cronaca. Il 7 ottobre 2024, Israele ha vissuto un massacro che non ha bisogno di interpretazioni: uomini, donne, bambini, famiglie intere, sterminati con una ferocia che non ammette alibi. Hamas ha compiuto quello che i codici del diritto internazionale chiamano crimine contro l’umanità. Tra le tante atrocità, una in particolare merita di essere incisa a lettere di fuoco nella memoria collettiva: la violenza sulle donne. Non un effetto collaterale, non le solite atrocità che accompagnano ogni guerra, ma un’arma deliberata, un metodo scientifico di terrore e umiliazione. Le testimonianze raccolte raccontano di stupri di massa, di corpi bruciati per cancellare le prove, di una barbarie che non è un eccesso, ma una strategia. E qui la questione non è più solo di geopolitica, ma di civiltà. Si può discutere all’infinito sulle responsabilità, sulle cause remote e prossime del conflitto israelo-palestinese, sulle colpe dell’uno e dell’altro fronte. Ma davanti allo stupro di una donna, davanti all’uccisione di un bambino, davanti all’eccidio di una famiglia intera, non ci sono giustificazioni. C’è solo la scelta tra chi condanna e chi volta la testa dall’altra parte. Momento centrale della conferenza è stata la testimonianza di Yuval Tapuchi e Hadar Sharvit, due giovani sopravvissute all’attacco del festival musicale Nova, una delle tragedie simbolo del 7 ottobre. Le loro parole hanno raccontato il terrore vissuto in quelle ore: la fuga disperata nei campi aperti, i suoni incessanti di spari ed esplosioni, le urla di chi veniva stuprato e dato alle fiamme, la paura di non sopravvivere. Una delle sopravvissute ha raccontato di essere rimasta nascosta sotto un albero per cinque ore, mentre intorno a lei si consumavano violenze inimmaginabili: “Ho sentito urla di donne disperate, poi il silenzio. Ho capito che erano state uccise. Nessuno dovrebbe mai vivere un incubo simile”. Le testimonianze hanno anche evidenziato l’impatto psicologico di questi eventi: incubi ricorrenti, difficoltà a riprendere una vita normale e il senso di vulnerabilità che accompagna ogni giorno. Durante il dibattito, gli esperti hanno sottolineato come la violenza sessuale nei conflitti non sia un fenomeno nuovo, ma una realtà spesso ignorata o minimizzata dalla comunità internazionale. Si è discusso di come i crimini commessi il 7 ottobre siano stati inizialmente sottovalutati da alcune organizzazioni internazionali, evidenziando la necessità di un maggiore impegno per il riconoscimento e la persecuzione di questi atti. La Professoressa Kochav Elkayam Levy, esperta di diritto internazionale e diritti umani e capo della Commissione civile israeliana sui crimini del 7 ottobre, ha denunciato l’inerzia di alcune istituzioni nel riconoscere la portata delle violenze subite dalle donne israeliane. “Abbiamo inviato decine di comunicazioni alle Nazioni Unite e ad altre organizzazioni per denunciare ciò che è accaduto. Non abbiamo ricevuto alcuna risposta”, ha dichiarato. Per dare un nome a una nuova forma di crimine contro l’umanità, la Professoressa Levy ha introdotto il concetto di kinocidio (dal greco koinos, famiglia, eccidio, uccisione), per descrivere la distruzione deliberata del nucleo familiare come strategia di guerra. I rappresentanti politici presenti, tra cui la Presidente della Commissione Parlamentare contro la violenza di genere, Martina Semenzato, hanno espresso il loro impegno nel portare avanti iniziative legislative per il riconoscimento di questi crimini a livello internazionale. In particolare, si è discusso della possibilità di coinvolgere il governo italiano in azioni concrete per promuovere una risoluzione internazionale che riconosca e persegua la violenza sessuale nei conflitti come crimine di guerra. Nonostante il dolore e la sofferenza emersi dalle testimonianze, l’evento si è chiuso con un messaggio di resilienza e speranza. Le sopravvissute hanno sottolineato l’importanza della solidarietà femminile e della necessità di continuare a lottare per la giustizia. “Non possiamo permettere che questi crimini vengano dimenticati. Dobbiamo essere la voce di chi non può più parlare”, hanno affermato. Questa conferenza non è servita a cambiare il corso della storia, né a spostare l’ago della bilancia diplomatica. Ma ha avuto almeno il merito di ricordare che la verità, sebbene scomoda, esiste. E che il primo dovere di chi si definisce uomo libero è quello di non accettare che venga sepolta sotto la polvere dell’indifferenza.