Yemen: capire l’ascesa e l’evoluzione degli Houthi
Dalla guerriglia locale al disordine globale: l’ascesa e l’evoluzione degli Houthi dello Yemen approfondite nell’analisi di Eleonora Ardemagni
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Dalla fine del 2023, gli Houthi dello Yemen hanno avviato una serie di attacchi contro la navigazione internazionale nel Mar Rosso meridionale, nello stretto di Bab el-Mandeb e successivamente anche nel Golfo di Aden, in “solidarietà con i palestinesi di Gaza”. Queste azioni hanno rapidamente aumentato la visibilità del movimento armato sui media globali. Nei Paesi occidentali, questo fenomeno ha determinato un intenso dibattito incentrato principalmente sull’influenza politica e militare dell’Iran sul movimento armato yemenita, a causa anche della limitata conoscenza degli Houthi e delle dinamiche yemenite.
Un approccio così semplicistico potrebbe non tenere conto, tuttavia, della genealogia degli Houthi, della storia e dell’agenda del gruppo, nonché del contesto della guerra civile del 2015 in Yemen. Gli Houthi ricevono armi di contrabbando, addestramento militare, consulenza militare e di intelligence, nonché finanziamenti e sostegno mediatico dalle forze al-Qods del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica iraniano (IRGC, noto anche come pasdaran). Possono essere considerati come l’attore più esterno dell’“asse di resistenza” pro-Teheran composto da attori armati non statali contro Stati Uniti e Israele.
Tuttavia, il movimento armato yemenita è un alleato dell’Iran e non una creazione per procura dei pasdaran, condividendo un’ideologia politica e una visione del mondo simili. Gli Houthi avevano già una storia militante ben prima dell’alleanza con Teheran, hanno un proprio meccanismo decisionale principalmente familiare e su base locale e si dedicano prevalentemente alla promozione della propria agenda. Pertanto, la comprensione dell’identità, degli obiettivi e dell’evoluzione degli Houthi è fondamentale non solo per inquadrare questo gruppo armato, ma anche per identificare possibili policies per la mitigazione della crisi e, possibilmente, per la risoluzione del conflitto. A tal fine, occorre tenere gli occhi puntati innanzitutto sullo Yemen, solo successivamente sull’Iran.
Chi sono gli Houthi?
Gli Houthi (che dal 2011 si definiscono Ansar Allah, “partigiani di Dio”) sono etnicamente arabi e appartengono alla confessione islamica sciita zaidita, come il 30-40% dell’intera popolazione yemenita; tuttavia, non tutti gli zaiditi dello Yemen sostengono gli Houthi. Lo Zaidismo differisce dottrinalmente dal filone dei Duodecimani/Jafarismo, il ramo sciita dominante in Iran, e non è così distante dalla scuola giuridico-religiosa sunnita (madhab) dello Yemen, lo Sciafeismo. Dall’897 al 1962, il Nord dello Yemen è stato un imamato: il sovrano era l’imam Zaid, che aveva potere sia religioso che temporale secondo la dottrina Zaidita. Per questo motivo, i religiosi Zaiditi sono stati ampiamente emarginati dopo la rivoluzione del 1962 che trasformò il Nord dello Yemen in una repubblica (la Repubblica Araba dello Yemen).
“Houthi” (o meglio “huthi” in arabo) è il cognome del fondatore del movimento, Hussein Al Houthi, che iniziò a predicare negli anni Ottanta nella regione montuosa di Saada, il governatorato dell’alto nord al confine con l’Arabia Saudita, tuttora feudo del gruppo. La famiglia Al Houthi appartiene all’élite religiosa degli Zaiditi (sayyid; sāda) e rivendica una discendenza diretta dal lignaggio del profeta Maometto (sono hashemiti). Questo pone la famiglia Al Houthi al vertice della gerarchia sociale in Yemen, a differenza della maggior parte degli yemeniti che hanno invece un lignaggio tribale. Il processo decisionale del movimento Houthi avveniva, e avviene tuttora, all’interno della cerchia ristretta del gruppo nato a Saada, oltre a pochi notabili e comandanti militari locali. Per esempio, il fondatore Hussein (ucciso nel 2004 dall’esercito yemenita) è stato il primo leader, seguito dal fratellastro Abdelmalek, l’attuale leader; il padre Badreddin è stato il principale ideologo del movimento; Mohammed Ali (cugino di Abdelmalek) è stato il capo del Comitato rivoluzionario supremo formato a Sana'a dopo il colpo di Stato del 2015 e ora è membro del Consiglio politico supremo che governa di fatto i territori del Nord-Ovest.
Il fondatore Hussein, che ha studiato l’Islam in Iran e in Sudan tra gli anni ‘80 e i primi anni ‘90, era in contatto con i seminari religiosi (hawza; hawzat) delle città sante sciite di Qom (Iran) e Najaf (Iraq). Gli obiettivi fondanti del movimento erano principalmente tre: rilanciare lo Zaidismo nello Yemen, contrastare il sostegno del governo e dell’Arabia Saudita alle scuole salafite (madrasat) e alle milizie tribali nell’alto nord in chiave anti-zaidita, e porre fine all’emarginazione del nord dalla rappresentanza politica e dalla distribuzione dei proventi del petrolio.
L’Evoluzione del Movimento in Quattro Fasi: Resistenza, Insurrezione, Rivoluzione e Interferenza
Dopo le esperienze politiche di Hussein Al Houthi con partiti politici sciiti (Hizb al-Haqq) e formazioni zaidite (la Gioventù credente), il movimento Houthi prese forma all’inizio degli anni 2000, quando il noto slogan (sarkha, l’urlo) “Dio è grande; morte all'America; morte a Israele; maledizione sugli ebrei; vittoria all'Islam” fu gridato per la prima volta dai sostenitori di Al Houthi contro il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh a Sana'a.
La traiettoria politica del movimento Houthi può essere suddivisa in quattro fasi: resistenza, insurrezione, rivoluzione, interferenza. La resistenza e l’insurrezione fotografano la formazione e l’ascesa del gruppo come movimento locale. All’inizio degli anni 2000, Hussein Al Houthi condannò l’alleanza di Saleh con gli Stati Uniti per combattere al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) in Yemen, nel contesto della guerra al terrorismo. Le manifestazioni antigovernative si diffusero a Saʿda. Sei battaglie (2004-2010) furono poi combattute tra gli Houthi e il governo centrale (le “guerre di Saʿda”), consentendo al gruppo di passare gradualmente dalla resistenza contro la presenza del governo nel governatorato di Saʿda all’insurrezione armata. Lo scontro iniziò con la guerriglia nella roccaforte degli Houthi di Saʿda e l’uccisione di Hussein nel 2004, per estendersi in seguito ad Amran, alla provincia settentrionale di Sana'a e lungo il confine yemenita-saudita. L’esercito non fu in grado di sconfiggere l’insurrezione Houthi, optando quindi per una guerra ibrida: accanto alle unità d’élite della Guardia Repubblicana, anche le milizie tribali salafite combatterono al fianco del governo. Nel 2009, gli Houthi iniziarono incursioni transfrontaliere in territorio saudita, portando il Regno a reagire con attacchi aerei su Saʿda. Le guerre di Saʿda si conclusero nel 2010 con un cessate il fuoco mediato dal Qatar: né l’esercito yemenita né i sauditi riuscirono dunque a sconfiggere l’insurrezione Houthi, con il movimento armato che divenne nei fatti forza di autogoverno nel governatorato di Saʿda. Le radici dell’attuale conflitto in Yemen devono essere ricercate nelle guerre di Saʿda.
Tra il 2011 e il 2015, il movimento Houthi passò dall’insurrezione alla rivoluzione, acquisendo gradualmente una posizione regionale. Nel 2011, gli Houthi si unirono alla rivolta popolare di Sana'a contro il governo di Saleh, nel contesto delle “Primavere arabe”. Quando Saleh dovette dimettersi per lasciare spazio nel 2012 al governo di transizione istituzionale, basato sulla condivisione del potere, gli Houthi si rivelarono abili nel giocare contemporaneamente su tre diversi “tavoli”. A livello istituzionale, nel 2013-14 una delegazione Houthi partecipò alla Conferenza di Dialogo Nazionale per riscrivere la Costituzione; a livello politico-tribale, gli Houthi strinsero un’alleanza informale con il blocco di potere dell’ex presidente Saleh, ottenendo così il sostegno della maggior parte delle tribù delle regioni settentrionali e della periferia di Sana'a; a livello militare, gli Houthi avanzarono intanto da Saʿda ad Amran per poi allestire accampamenti nella capitale Sana'a, incontrando un’opposizione sporadica o addirittura assente da parte delle tribù locali e dell’esercito, i cui soldati ancora in gran parte sostenevano Saleh. Dopo il breve esperimento di un governo di unità nazionale, gli Houthi portarono a compimento il colpo di Stato, con la presa del palazzo presidenziale di Sana'a nel gennaio 2015. Inoltre, gli Houthi misero il presidente ad interim agli arresti domiciliari, formando un comitato rivoluzionario nonché rilasciando una dichiarazione costituzionale. Pertanto, nel marzo 2015 l’Arabia Saudita organizzò una coalizione militare araba per ripristinare le istituzioni riconosciute nello Yemen, con il ruolo di guida degli Emirati Arabi Uniti per le operazioni di terra.
Il colpo di Stato degli Houthi è stato possibile grazie al sostegno del blocco di potere dell’ex presidente Saleh: questa alleanza di convenienza contro la transizione istituzionale ha permesso agli Houthi di fare affidamento sull’arsenale militare dell’esercito regolare. Da quel momento in poi, gli Houthi hanno sviluppato nuove e migliori capacità militari; in seguito, il sostegno militare dell’Iran agli Houthi – che è divenuto sistematico dal 2015 - si è rivelato decisivo per la fornitura di armi e l’addestramento. Questa combinazione di fattori ha permesso la trasformazione degli Houthi da attore locale ad attore regionale. Il potenziamento delle capacità missilistiche e l’utilizzo offensivo dei droni (compresi barchini esplosivi di superficie, droni sottomarini e mine marittime) ha rappresentato un punto di svolta per la guerra degli Houthi, con il lancio del primo missile balistico a medio raggio contro l’Arabia Saudita nel 2019. Nel periodo 2016-2022, gli Houthi hanno colpito ripetutamente il territorio saudita e quello emiratino, attaccando anche obiettivi costieri e marittimi nel Mar Rosso. Nonostante una chiara asimmetria militare rispetto alla coalizione araba, gli Houthi sono riusciti a consolidare il loro “stato” nel nord-ovest del Paese, combinando repressione e predazione. Gli Houthi non controllano giacimenti di petrolio o di gas, ma traggono profitto dai dazi doganali, dalla confisca di terreni e proprietà, dall’imposizione di tasse e dall’economia di contrabbando (carburante), anche se spesso non sono in grado di pagare gli stipendi pubblici o di fornire assistenza sociale. In questo contesto, la tregua nazionale mediata dalle Nazioni Unite nel 2022, ancora informalmente applicata, ha ampiamente ridotto la violenza nel Paese, arrestando anche gli attacchi degli Houthi contro i vicini del Golfo. In particolare, l’apertura di colloqui diretti tra l’Arabia Saudita e gli Houthi nel 2022 ha contribuito a diminuire le tensioni al confine, sebbene non sia ancora stato firmato un cessate il fuoco bilaterale.
Dalla fine del 2023, gli attacchi degli Houthi contro il commercio marittimo internazionale nel Mar Rosso meridionale, nello stretto di Bab el-Mandeb e nel Golfo di Aden hanno segnato una nuova fase per il movimento armato yemenita: quella dell’interferenza negli equilibri globali. Il disturbo delle rotte marittime in “solidarietà con Gaza”, che ha portato molte compagnie di trasporto a cambiare rotta evitando il Mar Rosso, permette infatti agli Houthi di rafforzare la posizione regionale e la visibilità internazionale, facendo leva sul tradizionale discorso antimperialista contro Israele e gli Stati Uniti. Tali azioni si rivolgono - anche con il supporto della propaganda mediatica - a un pubblico arabo e islamico più ampio della costellazione armata iraniana. Gli Houthi hanno sfruttato materialmente e immaterialmente l’asse della resistenza, crescendo come movimento armato grazie alle armi e all’addestramento di Teheran (e di Hezbollah), nonché sfruttando la narrativa, gli slogan e i simboli dell’asse guidato dall'Iran. Tuttavia, gli Houthi hanno conservato autonomia decisionale, perché hanno una forte storia e leadership locale, nonché un’agenda politica specifica.
La recente traiettoria dello Yemen è stata segnata da alleanze flessibili, guidate da convenienze politiche piuttosto che da appartenenze settarie. Gli Houthi hanno combattuto Saleh per poi schierarsi con lui contro le istituzioni riconosciute (uccidendolo infine nel 2017). Allo stesso modo, la guerra con l’Arabia Saudita, in corso da nove anni, non ha scoraggiato gli Houthi dall’accettare colloqui diretti con Riyad per essere riconosciuti come interlocutori, marginalizzare il governo yemenita e ottenere concessioni per i territori controllati. Comprendere l’ascesa e l’evoluzione del movimento Houthi non è dunque possibile senza approfondire gli equilibri dello Yemen, cruciali anche per inquadrare le minacce alla sicurezza e gli assetti nella regione del Mar Rosso.