Zelensky alla Lega Araba di Gedda: la regione acquisisce centralità
La scelta saudita di invitare il presidente ucraino fa da contraltare al ritorno di Assad. L’analisi di Daniele Ruvinetti
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Una delle ragioni per cui il vertice della Lega Araba di metà maggio è stato particolarmente interessante, conferendogli un’unicità storica, è il ritorno della Siria e la conseguente riqualificazione del rais Bashar al-Assad. L’altra grande ragione si lega alla presenza del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, invitato speciale fortemente voluto a Gedda, città ospitante, dall’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman. Ed ecco una terza ragione di interesse sul summit arabo: Riad ha marcatamente segnato i processi dietro la presenza di Assad e Zelensky e si conferma Paese leader della Lega e delle dinamiche regionali.
La sommatoria di questi tre elementi, con i loro significati e significanti, dà il valore profondo del vertice: il mondo arabo, quello rappresentato dalla Lega, ha tutto l’interesse — e forse la necessità — per acquisire un posto centrale nelle dinamiche globali. E ha una leadership in grado di interpretare il ruolo, consapevole che tutto ciò sta accadendo in un contesto eccezionale, dove agli effetti post-pandemici si sommano quelli della guerra russa in Ucraina. Ossia, ci sono nuovi equilibri in costruzione, in un contesto sempre più multipolare, all’interno del quale i paesi del mondo arabo possono — e vogliono — giocare il proprio ruolo.
La presenza di Zelensky è stata significativa perché ha posto quei paesi, e i grandi leader (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Egitto), davanti a un dossier di caratura globale che coinvolge in modo diretto la Russia, semi-diretto l’Occidente e gli alleati like-minded asiatici (Giappone e Corea del Sud), e in forma indiretta la Cina e l’India. Ossia coinvolge l’intero pattern di Paesi con cui la Lega Araba ha relazioni. E lo coinvolge con angoli e impegni diversi.
“Purtroppo ci sono alcuni nel mondo, e qui tra voi, che chiudono un occhio davanti a quelle gabbie e alle annessioni illegali – ha detto Zelensky – e io sono qui in modo che tutti possano dare uno sguardo onesto, non importa quanto i russi cerchino di influenzarvi”. Il presidente ucraino era perfettamente consapevole di parlare a un pubblico di “neutrali”, Paesi che non hanno mostrato intenzioni di sbilanciarsi perché intrattengo rapporti con tutti (a cominciare dalla Russia), non vogliono farsi percepire come schiacciati verso l’Occidente pro-Ucraina, tutelano i propri interessi interni (consci che avrebbero visto come un abuso l’ingerenza di terzi nei loro affari regionali).
Per Zelensky, abituato in questo anno e mezzo di guerra a parlare a platee amiche, è stata una sfida: comunicare la sofferenza del suo popolo a nazioni che comprendono la sua posizione (anche perché hanno vissuto stagioni tragiche e guerre), ma che comprendono anche che questo è il momento per evitare scatti. Lasciar fluire il corso delle cose per poter sfruttare ogni sponda possibile in questa “multipolarizzazione” in corso è l’obiettivo strategico — anche perché quei paesi sono consapevoli delle loro vulnerabilità, per esempio quelle legate all’insicurezza alimentare, e intendono evitare di scomporsi.
Zelensky non è uno sprovveduto, la guerra ha irrobustito le sue capacità politiche e soprattutto comunicative (sempre state il suo forte). Atterrato nella città saudita a bordo di un velivolo francese decollato dalla Polonia, il presidente ucraino ha detto che l’obiettivo della sua visita era “rafforzare le relazioni con l’Arabia Saudita e il mondo arabo”. Tradotto: ottenere quanto più possibile in termini di aiuti economici indirizzati al fronte umanitario, aspetto su cui Riad ha già partecipato per centinaia di milioni di dollari e su cui nessuno nella regione si tirerà mai indietro.
Stando a quanto emerge dalle indiscrezioni, la notizia della presenza di Zelensky non era stata diffusa con anticipo, per ragioni di sicurezza, e quando è iniziata a circolare ha sconvolto i siriani. La ragione è doppia: Assad doveva essere il grande protagonista, ma la presenza dell’ucraino gli ha rubato la scena; allo stesso tempo i siriani sanno che dai partner arabi dovranno avere molto per ricostruire un paese distrutto da oltre un decennio di guerra civile, e temono che il conflitto ucraino possa distogliere qualche attenzione (o risorsa). Il rais siriano, inoltre, deve la sua vita all’intervento militare russo, che lo ha puntellato e portato alla vittoria; per tale ragione, sedersi al tavolo col nemico numero uno di Vladimir Putin è stato per lui imbarazzante.
Ma così è: nell’ottica di quella equidistanza e nel tentativo di giocare su varie dimensioni. Invitare Zelensky è servito anche per bilanciare la presenza di Assad. Annacquarla in qualche modo per renderla meno impattante, innanzitutto a Washington, scontento dell’opportunità offerta al siriano. È noto che l’amministrazione Biden ha un rapporto fatto di alti e bassi con il regno, ma la mossa di bin Salman — che ha anche annunciato di volersi impegnare come mediatore in Ucraina — ricorda a tutti, in primis agli americani, che l’Arabia Saudita ha un ruolo centrale negli affari globali, ineludibile in una regione intenzionata a crescere di caratura.